Viaggio in Parrocchia / Cascame, quartiere operaio dalla seta alla vigna del Signore

Un quartiere operaio. Almeno così era una volta, quando proprio per dare un punto di riferimento spirituale ai lavoratori della filanda e alle loro famiglie venne costruita la chiesa di San Giuseppe.

TERRA DI MISSIONE É il Cascame, a pochi passi dal centro di Vigevano e sulle soglie della periferia. Una terra quasi di frontiera, per la quale lo spirito avventuroso di don Paolo Nagari, che oltre a essere direttore dell’Ufficio missionario diocesano va spesso in Tanzania, è particolarmente adatto. «Sono arrivato al Cascame verso la fine del 2019 – racconta il parroco – e devo dire di essere stato subito ben accolto. Il giorno del mio insediamento avevo la buona compagnia dei parrocchiani di Gambolò, che avevo appena lasciato, e ricordo la gioia di tanti fedeli della comunità di San Giuseppe. Nonostante i primi anni di limitazioni e sospensione di alcune attività a causa della pandemia del Covid19, sono cresciuti la conoscenza e il rispetto reciproci, insieme alla stima e all’affetto, sia nei rapporti con le persone sia nei momenti comunitari».

Viaggio in Parrocchia Cascame
don Paolo Nagari

LA COMUNITA’ Che comunità è quella del Cascame? «Ha una connotazione storica ben precisa, che è sfumata con l’andar del tempo, ma resta comunque molto popolosa. A livello parrocchiale è dotata di tutte le strutture, dall’oratorio alla sala della comunità, per essere luogo di attrazione, partecipazione ed educazione. La gioventù non è mai mancata, ci sono tanti “semi”, molte buone persone che hanno lasciato un segno profondo nell’animo della vita e della realtà parrocchiale».

I GIOVANI Com’è la partecipazione dei giovani alla vita parrocchiale? «C’è sempre stata una certa affluenza, pur nella frammentazione. I giovani sono sempre più presenti soprattutto in oratorio, e si riesce a coniugare in vario modo le attività di bambini, ragazzi e adolescenti, nell’ottica di un servizio di generosità».

Di cosa avrebbe più bisogno la comunità di San Giuseppe? «E’ una realtà piuttosto viva, forse bisognerebbe arrivare ad approfondire la propria fede e a mantenere e rafforzare la buona armonia tra i gruppi. Per i giovani servirebbe un’azione di collegamento tra le attività ricreative e i sacramenti, perché la presenza di diversi ragazzi in oratorio non sfocia poi nel momento celebrativo della Messa». Qual è l’augurio che si sente di rivolgere ai suoi parrocchiani? «Un approfondimento della fede degli adulti e un’apertura alle forme collaborative che l’unità pastorale richiede con la parrocchia di Cristo Re e Pellegrina».

Ernestino Zatti, “figlio d’arte“

Viaggio in Parrocchia Cascame
Ernestino Zatti

Ernestino Zatti, 84 anni appena compiuti, è un’istituzione. Figlio d’arte (il papà Beniamino, che aveva 12 figli, nel 1961 era stato chiamato al Cascame dal parroco don Carlo Maragnani per fare il sacrestano), in parrocchia si è occupato un po’ di tutto: dalla preparazione dei calici e degli arredi sacri per la Messa alla distribuzione de L’Araldo, attività che una volta si chiamava «la buona stampa». E fino a qualche anno fa ha fatto in tempo anche a suonare le campane a corda: «Pure sui tasti, in cima al campanile – racconta – per la novena di Santa Maria Bambina e all’elevazione durante la Messa. Poi ho fatto il proiezionista al cinema parrocchiale, e mi sono occupato di organizzare gite e pellegrinaggi in luoghi sacri. Ho servito sei parroci: don Maragnani, don Pierino Sunam, don Carlo Pasini, don Antonio Impalà e ora don Paolo Nagari, col quale vado molto d’accordo. Una volta facevo il marmista, adesso sono in pensione e ho più tempo per la parrocchia. E fin che il Signore mi conserva in salute, vado avanti». Da dove nasce tutto questo impegno per la comunità?

Il mio papà mi diceva sempre: “A cosa serve la tua fede senza le opere di bene?”. Meglio avere tutte e due.

Un’attività, quella del sacrestano, che viene spesso svolta nell’ombra. «E’ meglio essere ultimi – conclude Ernestino Zatti – che mettersi in prima fila e poi dover andar via per lasciare il posto a qualcuno più importante di te».

Davide Zardo

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