2 giugno / «Dal vostro voto dipende l’avvenire»

Dal vostro voto dipende l’avvenire della religione e della patria. «Suprema la responsabilità della scelta di questo 2 giugno. Dipendono da essa le sorti non solo politiche ma spirituali e morali della nostra sanità di popolo. Né va sottaciuto il monito che alla vigilia pasquale il Santo padre Pio XII ha diretto al popolo con accenti di singolare, anzi insolita gravità; laddove egli ha detto che si avvicina una suprema scelta “di vita o di morte”. Per oltre 15 secoli, ha detto il Papa, il popolo italiano è rimasto fedele a un ordine morale cristiano ma da oltre cento anni noi sperimentiamo l’erosione di una cultura laica e materialistica. Oggi l’avversario giudica l’opera sua abbastanza avanzata per muovere l’assalto definitivo».

COSCIENZA L’Araldo numero 22 del 30 maggio 1946 non usa mezzi toni in prima pagina, nel pezzo di apertura del giornale, per invitare gli italiani e, in particolare, i cristiani al voto. «La battaglia della Costituente – si legge inoltre – è impegno di coscienza per ogni cittadino: fatto di difesa di una civiltà storica e del suo contenuto spirituale. Si tratta delle fondamenta cristiane dello Stato ad assicurare all’Italia. Guai alle discussioni e alle dispersioni. In questa vigilia non può esservi tra un impegno: l’unità. Tutte le forze, per la salvaguardia il patrimonio supremo dell’individuo e dello Stato, tutte le volontà nel proposito dominante della libertà e del Cattolicesimo». Nella prima pagina c’era poi un articolo che invitava a riflettere su quali erano le correnti che ci darebbero una costituzione con spirito laico e, a confronto, c’erano gli interventi di due arcivescovi. A centro pagina “Un No!”, che i francesi avevano detto a socialisti e comunisti. Poi la voce di un operaio: “Io voto Democrazia Cristiana” e un ultimo articolo “ll patriottismo… russo di Togliatti”. In conclusione un’esortazione

a non credere alle dichiarazioni dei socialisti e dei comunisti di rispetto della religione e della libertà, con la quale oggi anche i più noti mangiapreti nemici di Dio vanno mostrandosi in veste di agnelli belanti.

REPUBBLICA In seconda pagina, in bella vista, la scheda elettorale con l’indicazione di voto sulla Democrazia cristiana, la lista dei candidati della Dc e un vademecum sul come si vota, prima della cronaca dai vari centri lomellini. Insomma, nelle due pagine che caratterizzavano la foliazione del giornale di allora, il messaggio era forte e chiaro. E nel numero 23 del 6 giugno non sono mancati i toni entusiastici. “La Democrazia cristiana ha trionfato e nella concordia è nata la Repubblica” è il titolo di apertura del giornale, con i risultati del referendum: 12milioni e 737mila 396 voti per la Repubblica e 10 milioni e 725mila 532 per la monarchia. E poi i voti dei principali partiti, utili per la formazione dell’assemblea costituente, con gli oltre 8 milioni voto per la Dc, oltre 4 e mezzo per i socialisti e oltre 4 milioni e 200 per i comunisti. Una tabella di centro pagina evidenzia che i centri della Lomellina dove la Dc ha vinto, sono stati Albonese, Breme, Candia Lomellina, Cassolnovo, Dorno, Gambarana, Gambolò, Garlasco, Gropello Cairoli, Mortara, Ottobiano, Palestro, Robbio, Suardi, Tromello.

POLEMICHE La polemica con la sinistra non si smorza nel lungo articolo trionfalistico: «Non importa – si legge nell’articolo principale – che per la contingenza elettorale le sinistre abbiamo indossato la pelle di agnello della legalità della democrazia e del progressismo sociale. Gli italiani più pensosi hanno capito che le sinistre ancorate al marxismo e al leninismo non potranno mai essere sinceramente democratiche e le destre, finché sosterranno il ruolo di difesa degli interessi capitalistici, non potranno mai essere sinceramente orientate alla giustizia sociale e hanno dato perciò la loro fiducia alla Democrazia cristiana». E per finire:

Non dormiamo sugli allori. Gli uomini che vanno alla Costituente hanno ancora estremamente bisogno del nostro apostolato. Mentre essi saranno discutere e a promuovere le leggi fondamentali della Repubblica italiana, dovranno sentire il pieno e vigoroso appoggio delle nostre masse organizzate. Nessuno si illuda che lavoro di organizzazione di apostolato cattolico sia finito.

Frascarolo, isola sabauda in un mare repubblicano

Frascarolo 2 giugno
Castello di Frascarolo

Un’unica “testa coronata” in un mare (a scacchi) di repubblicani.

IL VOTO Fu Frascarolo l’unico comune della Lomellina dove, in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, vinse la monarchia: sui 1267 (quasi il 97% degli aventi diritto) elettori il 50,87%, ovvero 612, scelse il re, lasciando la Repubblica al 49,13% (591). La scelta dei “sabaudi” frascarolesi non fu ovviamente sufficiente a impedire ai Savoia di intraprendere la via dell’esilio: ma sebbene il resto della Lomellina nel complesso scelse la parte opposta, in alcuni centri la “battaglia” nelle urne fu giocata sul fil di lana. Ad Albonese ad esempio, dove la Repubblica prevalse per appena 14 voti (297 contro 283), o a Breme, 793 voti (50,57% contro 775 (49,43%), o a Gropello, 1291 (50,93%) e 1244 (49,07%). Altrove, i voti repubblicani stravinsero: come a Galliavola, con il 77,94%, a Mezzana Bigli, con il 77,79%. Quel che è certo è che la partecipazione al voto fu altissima dappertutto, con nessun comune sotto il 90% degli aventi diritto al voto partecipanti (da ricordare che per la prima volta nella storia d’Italia poterono votare anche le donne a una consultazione nazionale) e picchi di 98,17% a Villanova D’Ardenghi e 96,94% nella “monarchica” Frascarolo. Percentuali oltre il 96% si registrarono anche a Langosco, Mezzana Rabattone, Ottobiano, Robbio, Scaldasole, Tromello, Valle, Villa Biscossi, Candia, Castello d’Agogna, Ferrera.

COSTITUENTE Tutti questi voti portarono all’elezione anche di alcuni lomellini nella Costituente per la circoscrizione IV (la Milano-Pavia). Alcuni di essi lo furono fra le fila del Pci, che all’epoca aveva molti consensi sia nelle campagne, sia nei centri industrializzati: come i mortaresi Carlo Lombardi, sindacalista e partigiano, che durante il fascismo passò quasi 20 anni in prigione con l’accusa di aver ispirato l’omicidio di un possidente agrario, e Giovanni Roveda, primo sindaco di Torino dopo la Liberazione, ma nato anche lui nella città dell’oca. Per il Partito Socialista entrò Umberto Pistoia, rappresentante di commercio di Vigevano, ed Emilio Canevari, che era sì di Pieve Porto Morone (quindi in pieno Pavese) ma che fu un animatore delle leghe lomelline nel primo dopoguerra e in Parlamento denunciò la violenza dello squadrismo agrario al servizio di latifondisti che era esplosa nella terra del riso. Una pluralità di voci che parlavano dalla Lomellina e per la Lomellina: grasso che cola, se si pensa alla situazione di oggi, dove solo pensare di avere un parlamentare del territorio appare una chimera.

Massimo Sala, Alessio Facciolo

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