L’autonomia differenziata potrebbe essere una realtà nel giro dei prossimi 24 mesi, se il governo mettesse in pratica le deleghe che gli sono state assegnate dal Parlamento, ma le perplessità arrivano anche dalla Corte dei conti e dalla Cei, sia sui conti sia sulle disparità. Il sistema dei Livelli essenziali di prestazione (Lep), che devono essere garantiti dalle Regioni, è molto simile ai Lea della sanità, che tuttavia non sono stati in grado di arginare le disuguaglianze tra sistemi sanitari regionali molto diversi per organizzazione e prestazioni.
MESSA A TERRA A questo punto il Governo dovrà occuparsi del funzionamento concreto e un’opzione potrebbe essere prendere a modello le attuali Regioni a statuto speciale, che da quando sono nate di fatto operano in un regime di autonomia. L’idea potrebbe essere basare la spesa per garantire i Lep sulla base della storicità della spesa delle singole Regioni e questo potrebbe provocare ulteriori disparità, che lo Stato dovrà compensare con la perequazione, ma soprattutto già in passato non si è dimostrato un criterio esente da criticità:
la quantità di spesa non è un indizio della qualità della medesima e dei servizi che consente di offrire.
LE MATERIE In ogni caso saranno le Regioni a chiedere, eventualmente, l’autonomia. Le materie sulle quali potranno avere competenza esclusiva sono: istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, sicurezza del lavoro, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Molte fino a oggi sono state materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, come conseguenza della riforma del titolo V della Costituzione introdotta nel 2001, ma è soprattutto su alcune che si concentra l’attenzione di promotori e detrattori del provvedimento, in particolare sanità e istruzione; per i secondi la possibilità di prevedere contratti integrativi regionali potrebbe portare a una migrazione dei professionisti verso le Regioni che offrono un salario più alto, per i primi uno stipendio più alto colmerebbe la storica differenza di costo della vita tra le diverse parti della penisola, che di fatto costituirebbe già una “differenziazione”.
LA SPESA LOMBARDA A livello generale non è detto che la Lombardia ricaverebbe più risorse dall’autonomia. I Conti pubblici territoriali, pubblicati dall’Agenzia per la coesione territoriale, rimandano un’immagine diversa. Ad esempio parlando di ambiente si scopre che, nel 2020, le Regioni che registrano i contributi più significativi erano Lazio (12.2%) e Lombardia (10.4%). Minori volumi di spesa invece in Basilicata (1.1%), Valle d’Aosta (1%) e Molise (0.7%), ma i maggiori valori di spesa per persona si riscontrano nella stessa Valle d’Aosta (430.5 euro), nella Provincia Autonoma di Bolzano (298 euro) e in quella di Trento (285 euro). I livelli inferiori si rilevavano invece per l’Abruzzo (58.5 euro), la Lombardia (54 euro), il Piemonte (50.2 euro) e la Puglia (46.3 euro). Lo stesso vale per l’istruzione, che con la Formazione professionale è già in parte in capo alle Regioni. Si segnalano, per la maggiore consistenza della spesa, la Basilicata (928 euro) e la Calabria (879 euro), mentre, all’opposto, si collocano la Lombardia, il Veneto e la Liguria (che ha registrato il valore minimo, pari a 675 euro).
Andrea Ballone