Gli accessi impropri e le lunghe attese mettono a dura prova l’attività dei pronto soccorso. Non una novità, ma una realtà che ogni giorno riguarda milioni di pazienti italiani, così come il personale sanitario che opera nell’ambito dell’emergenza urgenza. Se per le carenze del personale la strada è in salita anche perché si tratta di un settore – per medici, infermieri e tecnici – sempre meno appetibile, che promette turni faticosi, difficoltà perfino ad andare in ferie e compensi tutt’altro che esaltanti, sarebbero già un primo passo una migliore educazione sanitaria dei cittadini e un maggiore coinvolgimento dei medici di medicina generale.
PROBLEMI Ma l’Asst di Pavia tende a rassicurare almeno per quanto riguarda il territorio. «Presso il pronto soccorso di Vigevano non c’è carenza di organico – fanno sapere dagli uffici dell’azienda – I medici che operano nella struttura sono contrattualizzati con modalità diverse, ma senza il ricorso a gettonisti. Attualmente i colleghi con contratto libero professionale rappresentano circa un terzo del totale dei medici in servizio». Se territorialmente parlando le carenze non ci sono, le cause dei disguidi sono altre. «Il problema dei pronto soccorso è legato a un insieme di fattori – spiega Alessandro Rubino, medico di famiglia e vicesegretario di Fimmg Pavia – il primo è che negli ultimi anni abbiamo avuto un taglio e una riduzione enorme di posti letto. In Europa siamo tra i paesi con il minor numero di posti letto in pronto soccorso, il che comporta lunghe attese e pazienti che si ritrovano ad aspettare sulle barelle».
EDUCARE Ma se si tende a puntare il dito contro una cattiva gestione sanitaria, un ruolo importante lo ricopre anche la ridotta “competenza” dei cittadini. «Non solo scarsità di posti letto e liste d’attesa molto lunghe, ma anche mancanza di sistemi di educazione sanitaria e di dissuasione – racconta Rubino – È bene capire che vi è anche tutto un tema di internet e di disinformazione legato al tema degli accessi impropri, che spesso spingono i pazienti ad andare in pronto soccorso pur non avendone propriamente bisogno». Numeri, quelli degli accessi impropri ben noti anche all’azienda pavese.
Gli accessi impropri al Dea, definiti come codici 5, rappresentano una frazione degli accessi e costituiscono circa il 5% del totale degli accessi – dichiara l’Asst di Pavia – Questo trend è costante negli ultimi anni.
Una società in cui sempre più spesso, i cittadini danno ascolto alla diagnosi del dottor Google e non a quella del medico curante, o in cui ci si rivolge al Ps per prestazioni che sarebbero da richiedere a quest’ultimo o, negli orari non coperti, alla Guardia medica, o ancora si spera, al prezzo dell’attesa, di fare subito esami per i quali i tempi sono più lunghi (ma che spesso, come si scopre sul momento, il Ps non eroga).
AMBULATORI Ma cambiare rotta è possibile e il Ministero della Salute punta di farlo partendo proprio dai medici di base. «È fondamentale che ci siano degli strumenti di diagnostica di primo livello nello studio del medico di medicina generale per ridurre buona parte degli accessi nei pronto soccorso – spiega il vicesegretario Fimmg Pavia – A tal proposito c’è una legge finanziaria del 2019 che stanzia 235 milioni di euro per dotare gli studi dei medici con strumenti di diagnostica di primo livello». Si tratta di ecografi, elettrocardiografi, spirometri, holter pressorio, ecofast e altre strumentazioni che consentano un primo approfondimento al di là della visita ambulatoriale. «Purtroppo non è ancora stata applicata in nessuna regione italiana, ma il sentore è che dopo sei anni qualcosa sta per smuoversi». Il decreto, firmato dall’allora ministro della Salute, Roberto Speranza, va oltre 40 milioni per la sola Lombardia.
RETE «Perché questo diventi realtà ci vuole solo la volontà delle istituzioni – continua Rubino – i medici di famiglia sono pronti ad accogliere la diagnostica di primo livello». Anche se questo richiederà strutturarsi sempre di più come rete e non come singolo professionista: «Al giorno d’oggi un medico da solo ha poco significato – aggiunge Giorgio Rubino, medico di famiglia e presidente di Amf Vigevano e Lomellina – È bene avere infermieri di famiglia che siano da supporto nella gestione del paziente qualora il medico non ne avesse la possibilità e puntare su telemedicina e sulle strumentazioni negli ambulatori».
Rossana Zorzato