Come sarà la mappa del Medio Oriente dopo la guerra? Chi governerà Gaza e quale autonomia avrà la Cisgiordania? Tornare alla questione israelo-palestinese consente di allargare l’orizzonte e riconoscere che la guerra con Hamas ne è la fase più recente e forse più violenta, mentre soffermarsi sulle operazioni militari equivale a mantenere la stessa prospettiva ristretta del dibattito su Ucraina, Iraq, Afghanistan: combattere senza porre un obiettivo reale, una soluzione raggiungibile.
LE IPOTESI Per la Terrasanta nel tempo ne sono state formulate diverse: i “due stati”, uno stato unico, l’annessione unilaterale, la spartizione con la Giordania. La prima è l’unica su cui si registra un consenso internazionale e l’unica su cui le due parti hanno raggiunto delle intese, anche se comporterebbe rinunce territoriali da entrambe le parti per superare due scogli come quello degli insediamenti israeliani e del diritto dei profughi palestinesi a rientrare nella loro terra – riconosciuto dall’Onu – senza risolvere la questione dello status di Gerusalemme. Anche ammettendo che ci sia la volontà di andare in questa direzione, Israele dovrebbe prevedere lo spostamento forzato di decine di migliaia di coloni con il rischio di innescare una bomba sociale. Allo stesso modo lo stato unico appare, a seconda delle gradazioni, un’utopia (un paese democratico in cui israeliani e palestinesi hanno pari dignità) o una distopia (mancato riconoscimento della cittadinanza ai palestinesi e apartheid di fatto), il medesimo scenario ottenuto da un’annessione unilaterale, mentre l’idea di dividere la Cisgiordania tra Tel Aviv e Amman non è mai stata presa neppure in considerazione.
LA TENTAZIONE Insomma nessuna strada appare praticabile e si può immaginare che l’establishment israeliano, posto di fronte a un attacco senza precedenti che ha scatenato una rabbia e una paura inedite, stia valutando di sfruttare la superiorità militare per porre fine una volta per tutte al problema. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato di voler eradicare Hamas, ma anche ai decisori di Israele non può che apparire evidente come la risposta bellica non solo non eradicherà l’organizzazione terroristica, ma le fornirà carburante di odio per diverse generazioni. Machiavelli invita a diffidare dei fini dichiarati dai “principi” e non a caso in un secondo momento Netanyahu ha ipotizzato il mantenimento di una forma di controllo su qualunque cosa sarà Gaza dopo la guerra. «Quello che Netanyahu sta dicendo – ha scritto sul New York Times Thomas Friedman – se si toglie la superficie, è che 7 milioni di ebrei israeliani controlleranno 5 milioni di palestinesi, 3 nella West Bank e 2 a Gaza, per sempre. E questo non è sostenibile, se non in condizioni politiche che rimerebbero con apartheid». Una Gaza svuotata, distrutta, militarizzata accanto a una Cisgiordania balcanizzata, la parola fine a ogni discorso su uno stato palestinese.
ALTERNATIVE Eppure un’altra strada si potrebbe percorrere. Anzi l’unica soluzione all’orizzonte appare la stessa adatta a Israele, Palestina, Ucraina, Yemen, Siria, Nagorno Karabakh, Etiopia ed è quella che papa Francesco descrive nella sua ultima lettera enciclica “Laudate Deum” ovvero la costruzione di un nuovo multilateralismo. Prima di mettere da parte la proposta come utopistica occorrerebbe ricordare che proviene dal primo leader mondiale che ha parlato di «terza guerra mondiale a pezzi», intuendo da un lato che è il mondo intero a conoscere una crisi delle relazioni internazionali e dall’altro che non si è di fronte a un conflitto tradizionale bensì a tante guerre locali, all’apparenza separate, ma in realtà connesse dal coinvolgimento dei medesimi attori regionali e mondiali (Usa, Cina, Russia, Turchia, Iran, paesi del Golfo, Ue con tutti i suoi limiti e contraddizioni). Certo, un innesco non c’è e ha ragione chi invita a mettere le crisi nella proporzione che hanno (regionale), ma il compito di una classe dirigente non è la cronaca, è evitare che lo «spirito di Caino» trascini il mondo in una distopia. «Tutto ciò presuppone che si attui una nuova procedura per il processo decisionale e per la legittimazione di tali decisioni – scrive il pontefice – poiché quella stabilita diversi decenni fa non è sufficiente e non sembra essere efficace. In tale contesto, sono necessari spazi di conversazione, consultazione, arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore “democratizzazione” nella sfera globale, per esprimere e includere le diverse situazioni. Non sarà più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti».
Giuseppe Del Signore