Qui ci vivrei. E’ forse il complimento migliore che si possa fare a una città, ma quali sono i fattori che portano certi luoghi a essere più desiderabili di altri? A giudicare dagli orientamenti urbanistici più recenti
si tratta dei centri urbani che coniugano vivibilità, sostenibilità e innovazione con la dimensione umana.
Nella capacità di fondere questi quattro elementi sta l’essenza della rigenerazione urbana, che in sintesi consiste nel riprogettare infrastrutture cittadine, spazi pubblici e servizi in funzione di chi li abita. E’ la sfida su cui l’amministrazione comunale di Vigevano, guidata dal sindaco Andrea Ceffa, ha scelto di misurarsi, facendone il centro del programma, e su cui è possibile misurare la qualità della vita in tutto il territorio lomellino.
STATUS QUO In questo approfondimento L’Araldo riflette su come le città di medie dimensioni stanno facendo questo percorso o possono intraprenderlo anche a fronte di risorse limitate, ricorrendo ad esempio all’urbanistica tattica, per poi valutare lo stato dell’arte a livello delle amministrazioni locali (Vigevano, Mortara, Gambolò). A Vigevano qualcosa ha iniziato a muoversi, si pensi alla riqualificazione di piazza Sant’Ambrogio, a cui ha contribuito con forza la diocesi di Vigevano e che ha reso più fruibile via Roma e più ordinato il traffico in una parte del centro storico, in attesa del completamento dei lavori in corso all’altezza della scuola media Bussi e della trasformazione dell’area di Regina Margherita e PalaBasletta, ma anche agli interventi sulla stazione e all’introduzione di percorsi pedonali per chi da qui si dirige verso Castello e Piazza. In precedenza si è avuta la rigenerazione dell’ex Ursus, azienda che sorgeva nel cuore della città, quindi la costruzione di un nuovo palazzetto – che resta tuttavia un corpo in parte estraneo alla città sia perché manca un’accessibilità per mezzi “dolci” (come la bici) sia perché non ha ancora un nome –
e l’introduzione di percorsi ciclabili, che nondimeno non sono collegati tra loro e in molti casi si limitano a tracciati sull’asfalto, spesso invasi dalle auto per il transito o la sosta, determinando una situazione di pericolo per chi usa la bici in una città in cui sulle due ruote è possibile spostarsi in un quarto d’ora dalla periferia al centro.
Altri progetti sono in cantiere per quanto riguarda il recupero di palazzo Riberia, il potenziamento dell’istituto Negrone – anche qui con la compartecipazione della Diocesi – e la fruizione pubblica del Castello, altri ancora sembrano destinati a rimanere sogni, come lo scoperchiamento dei navigli, che richiede risorse e forza politica in questo momento non disponibili, ma che da solo permetterebbe alla città ducale un importante scatto in avanti tra le fila delle città a misura d’uomo.
MISURA DI TUTTO Questo perché «oggi il modello della metropoli ipertecnologica perde di slancio, a favore del modello più “umano” delle città medie e piccole, dove le relazioni sociali sono più strette e i comportamenti sostenibili più facili». Lo spiega Marco Mena, responsabile dello Human Smart City Index, che valuta proprio la prontezza delle città a ridisegnare spazi e tempi in funzione delle persone sugli assi di transizione ecologica, transizione digitale, inclusione sociale. Un processo che ha avuto un’accelerazione dopo la pandemia e che nondimeno è in corso almeno dagli anni Duemila, considerando la costante crescita dei prezzi delle case in relazione alla prossimità di spazi pubblici e servizi: ma di quali si tratta? Tra i primi è possibile annoverare marciapiedi, strade, ciclabili, piazze, giardini, parchi, aree pedonali in genere, tra i secondi scuole, biblioteche, musei, teatri, strutture sanitarie e amministrative ovvero un insieme che racchiude, secondo la definizione della “Carta dello spazio pubblico” che è un vademecum per la progettazione urbana, quei luoghi «pensati per essere fruibili da tutti», appunto capaci di determinare inclusione, e vivibili, nel segno della sostenibilità ambientale, dell’accessibilità tecnologica e della prossimità.
UN QUARTO D’ORA Quest’ultimo è il tema della cosiddetta “città dei 15 minuti” proposta dall’urbanista Carlos Moreno, dove idealmente ogni spazio e servizio è a disposizione spostandosi a piedi in pochi minuti, il che vuol dire concepire centri urbani policentrici nel caso delle metropoli, mentre per le città di medie o piccole dimensioni significa esprimere in atto ciò che esse sono in potenza. A partire ad esempio da un ripensamento dei flussi del traffico veicolare, poiché dove è maggiore minore è la qualità dello spazio e della salute – del resto nessuno vorrebbe vivere in megalopoli come Lagos, in Nigeria, dove il traffico è una sequela di code, clacson, smog senza soluzione di continuità e occorrono ore per spostarsi da una parte all’altra della città – dalla maggiore attenzione alla mobilità dolce, ciclabile e pedonale, per raggiungere tutte le aree “strategiche” cittadine in sicurezza, in breve e comodamente, e dall’accessibilità degli spazi ad esempio per anziani o persone con disabilità. In ultima analisi si tratta di interpretare le istanze dei cittadini e trasferirle in una visione, come ha spiegato Luciano Pantaleoni, tra le anime del progetto precursore Coriandoline, che ha visto la realizzazione di un quartiere a misura di bambino a Correggio ed è stato insignito del premio “Peggy Guggenheim” nel 2001:
Il nodo di tutto è un ascolto vero. I bambini chiedevano una casa trasparente, una casa magica, una casa in cui poter giocare. Occorreva capire cosa c’era dietro quelle parole. Perché trasparente? “Per vedere fuori il cambio delle stagioni”. Spiegata in questi termini acquista tutto un altro significato… Bisogna avere il tempo di ascoltare per progettare a misura d’uomo (o di bambino)
Giuseppe Del Signore