Contenuto riservato ai sostenitori de L'Araldo
Mentre in Emilia Romagna si fanno le stime dei danni provocati dall’alluvione di due settimane fa, l’Enea certifica la «difficoltà della transizione energetica italiana». Eventi meteorologici estremi, cambiamento climatico, riconversione industriale ed economica sono strettamente legati: c’è consenso scientifico pressoché totale sul nesso tra i primi e il secondo – tanto le ondate di calore quanto le precipitazioni fuori norma sono legate all’aumento medio della temperatura globale – ed è solo attraverso la terza che l’Italia, l’Ue e in generale il mondo potranno tentare da un lato di contenere l’innalzamento della temperatura del pianeta e dall’altro di trasformare in occasione di crescita e sviluppo un fenomeno che altrimenti rischia di devastare anche l’industria.
Un tema che tocca da vicino anche Vigevano e la Lomellina, sia perché non è lontano il ricordo del “ciclone con caratteristiche tropicali” dell’agosto 2023 sia perché le imprese del territorio affrontano la medesima sfida sia perché il contesto climatico mutato costringe l’agricoltura a ripensarsi.
DANNI In Ue, secondo le rilevazioni dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea), dal 1980 al 2022 gli eventi legati a meteo e clima hanno prodotto una perdita di 650 miliardi di euro, di cui 52.3 nel 2022 e 59.4 nel 2021, quasi un quinto del totale negli ultimi due anni considerati. A livello di singoli stati l’impatto non è stato il medesimo ovunque, quello più colpito è la Slovenia con 3425 euro pro capite, l’Italia è al sesto posto con 1918, di cui solo il 5% coperti da assicurazioni, altro fattore in campo col Governo che studia un decreto per l’obbligo assicurativo per privati e imprese (già inserito nella finanziaria 2023) e le compagnie a riflettere intorno al concetto di “mondo inassicurabile” ovvero la soglia di eventi avversi oltre la quale non conviene più vendere polizze. Questo per quanto riguarda i danni, ma la transizione energetica ha anche una dimensione “attiva” in termini di decarbonizzazione, sviluppo del settore “green”, riduzione dei consumi: secondo l’ultima “Analisi trimestrale del sistema energetico italiano” pubblicata da Enea due settimane fa e relativa al primo semestre 2024, l’indice Ispred (che dà una misura di sintesi di sicurezza energetica, prezzi dell’energia, diminuzione dell’impronta carbonica) «continua a collocarsi su un valore estremamente basso (0.35), di poco superiore al minimo della serie storica», seppure con un incremento del 10% rispetto al 2023.
CATENA DI VALORE L’Italia arranca nonostante una riduzione del 6% delle emissioni di CO2, superiore alla media Ue (4% circa) ma concentrata soprattutto nel settore elettrico (-32%) «grazie al notevole incremento» delle rinnovabili (+25%) a dispetto di un aumento dell’1% nei settori non-ETS (industria non energivora, terziario, residenziale, trasporti). Questo vuol dire che se la penisola è in linea con i target del Pniec (il Piano nazionale per l’energia e il clima) per il 2030 nei campi più energivori, resta distante da quanto previsto negli altri, che dovrebbero segnare non un aumento, ma una diminuzione del 5% annuo. Pure sul piano industriale e della competitività si registra una sofferenza,
con una crescente dipendenza dalle importazioni e un passivo commerciale – in costante aumento dal 2017 – che nel 2023 ha superato i 7 miliardi di euro (pari allo 0.34% del Pil).
L’industria italiana ha un deficit di 2 miliardi di euro nel fotovoltaico, di 3 miliardi negli accumulatori, di 2 miliardi nei veicoli a basse emissioni, è in passivo anche nell’eolico dove fino al 2021 era in attivo, realizza avanzi commerciali solo nel solare termico (+150 milioni) e negli elettrolizzatori (+100 milioni). L’Italia sta perdendo la competizione industriale.
AMBIENTE Insomma cambiamento climatico e contrasto dell’inquinamento non sono solo argomento per simposi tra ecologisti: il “Global attractiveness index” del think tank Ambrosetti (forum Cernobbio) ha sottolineato che uno dei freni all’attrattività italiana è dato proprio dalla scarsa performance nel parametro “Sostenibilità”, dove pesano le emissioni di Co2 (103esima posizione) e il numero di morti inquinamento-correlate (96esima). Se l’aumento delle temperature ha come effetto secondario la riduzione dei consumi invernali (e delle emissioni legate al gas naturale), l’altra faccia della medaglia è la crescita di quelli estivi per condizionatori: Arpa Lombardia spiega che «l’estate 2024 in Lombardia è risultata fra le più calde dal 1951». L’Agenzia considera i dati rilevati nei mesi di giugno, luglio e agosto a Milano, Mantova, Brescia, Sondrio e Pavia, che la collocano al terzo posto dopo 2003 e 2022, «distinta più per la durata del caldo che per la sua intensità» con un’anomalia di +1.9°C rispetto al periodo 1991-2020 (l’evoluzione del clima si valuta su scala trentennale). Anche lo scenario di autunno e inverno non è molto diverso, temperature sempre superiori alla norma e precipitazioni superiori a ottobre, nella norma o inferiori a novembre e gennaio, inferiori a dicembre.
SMOG Se la pioggia dovesse essere scarsa – dopo un’estate in linea – aumenteranno le concentrazioni di inquinanti, in particolare il PM2.5 e il PM10, per i quali nel 2023 la Lomellina ha registrato i valori più bassi del decennio, mentre nel 2024 ci sarà una crescita della media annuale: il PM10 a Vigevano segna 24.8 microgrammi al metro cubo nei primi nove mesi dell’anno, 23.2 a Parona, 25.7 a Sannazzaro, il PM2.5 17.0 a Parona e 14.5 a Sannazzaro, tutti valori già superiori o prossimi all’anno passato quando ancora i termosifoni nelle case sono spenti (circa il 38% del particolato primario e secondario dipende dal riscaldamento). Si tratta di concentrazioni in linea con i parametri Ue (media annuale di 25 microgrammi al metro cubo per il PM2.5 e meno di 35 giorni oltre i 50 per il PM10), ma al di sopra di quanto previsto dall’Oms (media annuale di 5 e 15 per PM2.5 e PM10), tanto che la stessa Ue sottolinea come se si considerano gli standard comunitari meno dell’1% della popolazione è esposta ad alte percentuali di PM2.5, mentre se si guarda a quelli dell’Oms il 96% risulta esposto. E questo considerando che non c’è un valore al di sotto del quale lo smog non fa male, con aumento del rischio cardiovascolare, malattie respiratorie croniche, tumori: la pianura Padana è l’area d’Europa in cui si muore di più a causa dell’inquinamento. Ancora una volta, se non basta il dato della salute, c’è quello economico, in quanto si tratta pur sempre di costi aggiuntivi per il Sistema sanitario nazionale.
Giuseppe Del Signore