A Garlasco, in provincia di Pavia, c’è un luogo speciale dove la disabilità non è un limite, ma una risorsa. È l’associazione “La Chiocciola Aps”, fondata il 7 settembre 2015 da Annalisa Zanotti, una donna che ha dedicato la sua vita al supporto delle persone con disabilità, trasformando l’amore e l’esperienza in un progetto concreto di inclusione. Al centro diurno di via Realetta ci si sente in famiglia, c’è un bel clima. I ragazzi ridono e scherzano, si abbracciano, fanno attività ricreative e di studio. Come è nato tutto questo?
«Mi ha spinto la necessità di aiutare gli altri. Forse è un difetto, egoisticamente parlando, ma ho sempre voluto essere dove di solito non ci si arriva. Non penso prima a me, è una mia forma mentis che ho maturato crescendo. Prima ero una ragazzina, facevo tutto quello che fanno gli adolescenti, andavo in giro con le amiche, con la compagnia. Poi ho iniziato a crescere e a vedere le esigenze degli altri. Avendo un cugino con disabilità mi sono avvicinata al mondo del volontariato assistenziale, anche se lui ha sempre vissuto normalmente. Ho iniziato ad andare a Lourdes, a conoscere altre persone con disabilità, e intanto lavoravo come contabile, dato che sono bilancista di formazione. A un certo punto è cresciuto il desiderio di invecchiare in compagnia dei miei amici, e ho pensato di creare un posto per stare con loro. Così il 7 settembre 2015 è nata “La Chiocciola”, e nel 2016 ho lasciato l’impiego dopo 30 anni, per dedicarmi a tempo pieno all’associazione, di cui curo il coordinamento e tutta la parte amministrativa. Siamo partiti con cinque o sei famiglie, aprendo solo il sabato, la domenica e i festivi, con l’obiettivo di dare sollievo ai parenti e portare serenità e divertimento agli ospiti. Il centro diurno sperimentale è stato inaugurato nel 2018 con autorizzazione comunale su richiesta delle famiglie. La famiglia Diana ci ha dato la sede in comodato d’uso, e abbiamo chiesto di acquistarla un poco alla volta, anno dopo anno. Grazie all’aiuto di tanti volontari l’abbiamo resa stupenda anche se era già bellissima, con tante piante. Nel 2020 si è sviluppato come Sfad (servizio di formazione all’autonomia per disabili) con autorizzazione regionale. E nel 2022 è diventato un Cdd (Centro diurno per disabili, ndr) con autorizzazione regionale e di Ats».

Quante persone frequentano il centro diurno?
«Adesso gli utenti sono una quarantina, e quelli con qualche capacità in più, diciamo con un alto funzionamento, e un’età compresa tra i 16 e i 32 anni, abitano insieme in una villetta che abbiamo preso in affitto nel 2019, con sei posti (cinque più uno di sollievo) per quei ragazzi che restano senza famiglia perché i genitori sono morti o troppo anziani per prendersi cura di loro. Ma presto si trasferiranno in un altro edificio che intendiamo acquistare grazie all’accensione di un mutuo. Al centro diurno in via sperimentale accogliamo anche i più piccoli per il doposcuola e per l’Aba (Applied behavior analysis, cioè analisi comportamentale applicata) una scienza basata sui principi del comportamento, utilizzata per comprendere e modificare il comportamento umano in modo sistematico. Si basa sul principio generale che il comportamento è influenzato dall’ambiente e può essere insegnato, rinforzato o modificato attraverso specifiche strategie. L’Aba è particolarmente nota per il suo utilizzo nel trattamento dei disturbi dello spettro autistico, dove aiuta a sviluppare abilità comunicative, sociali e di autonomia, riducendo i comportamenti problematici. Tuttavia, viene applicata anche in altri contesti, come l’educazione, la riabilitazione e la gestione del comportamento organizzativo. I principi fondamentali dell’Aba includono il rinforzo positivo, l’analisi funzionale del comportamento e l’intervento personalizzato, con un approccio basato sull’osservazione e sulla raccolta di dati per valutare i progressi. In pratica tutto è basato sul premiare e non sul punire. Poi, per i bambini che hanno poca capacità di parlare, adoperiamo anche il Pecs (Picture exchange communication system) un sistema di comunicazione basato sullo scambio di immagini, ideato per aiutare persone con difficoltà comunicative, in particolare quelle con disturbi dello spettro autistico. Il Pecs permette di esprimere bisogni e desideri attraverso immagini che rappresentano oggetti, azioni o concetti. L’utente impara a consegnare un’immagine a un interlocutore per ottenere ciò che desidera, sviluppando così una forma di comunicazione funzionale. Il sistema è strutturato in sei fasi, partendo dall’associazione immagine-oggetto fino alla costruzione di frasi complesse e alla generalizzazione della comunicazione in diversi contesti».
Il Pecs è particolarmente efficace perché non richiede prerequisiti cognitivi o verbali ed è spesso usato nell’Aba per favorire lo sviluppo del linguaggio e delle competenze sociali.
Che attività si svolgono in via Realetta?
«La prima ora è dedicata all’accoglienza, il lunedì mattina si può giocare a calcio e fare didattica, mentre nel pomeriggio ci sono pallavolo o sitting volley (per chi è in carrozzina) e laboratori creativi. Il martedì pomeriggio viene Valeria Aina, un’insegnante di canto della scuola musicale di Ron “Una città per cantare”, che ogni anno ci vede tra i partecipanti. Poi ci sono corsi di taglio e cucito, teatro, la palestra due volte alla settimana, e abbiamo una fattoria didattica con capra, pony, asino, quattro cani, cinque gatti, galline Morositas che fanno uova azzurre, due porcellini d’India e una tartaruga; un orto e una serra per coltivare insalata, pomodoro, zucche, peperoni, cetrioli, uva, con l’aiuto di tanti volontari. I ragazzi frequentano anche i corsi di informatica dell’Università del tempo libero, collaboriamo col Centro di aiuto alla vita, sistemiamo la libreria dello Sfad per aiutare a scaricare i volumi e a scaffalarli. Insomma, non ci si annoia. Per fortuna la mia famiglia mi sostiene, perché non dico di non avere paura, ma intanto ai 10 anni ci siamo arrivati».
Quante persone lavorano al centro diurno?
«Abbiamo 18 dipendenti tra educatori, terapisti, personale ausiliario, cuochi e autisti. Alcuni di loro sono parenti di persone con disabilità e chi ne ha uno in famiglia non vede questo come un lavoro ma come una missione. La Regione, con la quale siamo accreditati, mette una quota, mentre Ats eroga una quota giornaliera per ogni utente. Solo che abbiamo un problema burocratico, dato che l’accreditamento e la contrattualizzazione non sono contestuali. In pratica, non ci arrivano i soldi dalla Regione, che prima deve aprire degli appositi bandi. É un intoppo che si spera di sbloccare presto, se i bandi verranno indetti nel 2027, come ci hanno detto. Abbiamo parlato con diversi funzionari e amministratori regionali, ma non riusciamo a venirne a capo. Per fortuna ci sono le donazioni della gente e delle associazioni, le iniziative benefiche, le raccolte fondi. Quest’anno organizzeremo tanti eventi per il decimo anniversario di fondazione. Innanzitutto siamo al 27° posto (su 310 partecipanti) a un bando di Mediaset Friends col cortometraggio “La mia vita in un film”, a cui hanno preso parte tutti i ragazzi. E dal 14 al 16 febbraio una mostra fotografica di Elisa Sprocatti e Carlo Rossi Borghesano ha attirato in sede tanti visitatori, che hanno potuto ammirare le immagini in bianco e nero realizzate per immortalare le attività del centro diurno. È incredibile come questi scatti abbiano catturato lo spirito di tutto quello che facciamo. Il 15 febbraio, poi, al teatro Martinetti abbiamo messo in scena lo spettacolo “Benvenuti in Olanda” a cui ha assistito anche Ron, che era visibilmente commosso. I ragazzi si sono esibiti tutti e 40, e a dirigerli c’era Luca Bergamaschi, che lavora anche per “Striscia la notizia”. Questa serata ha dimostrato che la cultura può diventare una risorsa fondamentale per costruire una comunità più unita e sensibile ai bisogni degli altri».
Davide Zardo