Carità e solidarietà, cioè Comunione

Carità e solidarietà: due bellissime parole che oggi ci aiutano -forse- a guardare al futuro non dimentichi del presente e alla ricerca di strade nuove per esprimerle in questo tempo “particolare”. La carità è ancora atta a garantire la presenza della Chiesa nella società tenendo conto del contributo che essa deve dare alla soluzione dei “problemi” del mondo e del momento contingente? Una risposta potrebbe essere quella di ricordare che la Chiesa, in realtà, dà il suo contributo alla soluzione dei “problemi sociali” non solo attraverso la Caritas, ma anche e soprattutto attraverso i credenti che si spendono per la realizzazione del Vangelo. Per il cristiano la virtù della carità non appartiene al novero delle cose superflue, anzi, il pilastro fondamentale della vita del cristiano sono le tre virtù teologali della fede, della speranza e della carità. La carità appartiene perciò all’essenza stessa dell’esperienza cristiana. Pertanto la carità non coincide con il superfluo, è l’essenza stessa della vita del cristiano. Costituisce l’elemento essenziale della presenza del cristiano e della Chiesa nel mondo e del suo contributo alla realizzazione del bene comune.

A questo punto non possiamo non sottrarci, ancora una volta, ad una domanda precisa: ma cos’è la carità? La carità non consiste solo nel fare qualche cosa per gli altri. È più di questo. Non può essere confusa con altruismo. Il fare, l’agire, l’intervenire, il dare, sono solo i modi in cui si realizza la carità, non sono la sua origine. Non rileggeremo mai con sufficiente attenzione il celebre testo del cap. 13 della prima lettera ai Corinzi:

Anche se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli… anche se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza… anche se trasportassi le montagne con la fede, ma non avessi la carità, non sarei niente. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo alle fiamme per gli altri, ma non avessi la carità, non mi gioverebbe a nulla

È un testo che non lascia scampo. Il cristiano in quanto cristiano, non è nulla anche se facesse le cose più grandi di questo mondo, anche se distribuisse tutti i suoi beni in elemosina, o realizzasse la perfetta giustizia. Non saremmo nulla, poiché per vocazione non siamo stati chiamati a dare o a realizzare la giustizia in quanto tale o a praticare l’elemosina, bensì a condividere con gli altri la nostra persona, in nome di Cristo. La virtù teologale della carità esige dal cristiano di riconoscere l’altro come parte di sé stesso; parte della propria persona e della propria umanità.

Il cristiano deve lasciarsi determinare dal fatto che Cristo, sulla croce, ha stabilito un’unità oggettiva tra lui e gli altri. Il punto genetico della carità sta nel riconoscere l’unità stabilita tra gli uomini da Gesù Cristo. Il cristiano è chiamato ad amare l’uomo ed a fare unità con lui non in nome dei propri sentimenti naturali, ma in nome di Gesù Cristo. Per questo, il cristiano, è chiamato addirittura ad amare anche il suo nemico. Ritengo che sia da queste verità che nasce la solidarietà (parola che piace tantissimo anche a chi crede perché sembra più umana… più orizzontale e quindi meno verticale… mah?!?!) che oggi più che mai siamo chiamati ad attuare in forme del tutto particolari. Diventa allora Comunione la modalità per la quale siamo chiamati, qui ed ora, con urgenza sempre più grande, ad esprimere nella società due valori specifici del cristianesimo, la cui rilevanza sociale non è misurabile infatti con criteri puramente razionali. Il primo è la gratuità verso l’uomo in difficoltà, poiché è stata gratuita anche la redenzione offertaci da Cristo. Il secondo è quello dell’eccedenza, poiché eccedente è l’amore di Cristo verso di noi. La carità non ha come misura -principalmente- il bisogno dell’altro, ma la ricchezza e l’amore di Dio. È, infatti, limitante guardare all’uomo e valutarlo a partire dal suo bisogno, poiché l’uomo è di più del suo bisogno e l’amore di Cristo è più grande del nostro bisogno. E’ sempre possibile dare nei confronti dell’uomo e dei suoi bisogni, spirituali e materiali, una testimonianza di gratuità e di eccedenza. Anzi, è un dovere al quale siamo chiamati in forza della nostra vocazione cristiana.

Ne consegue che, anche in tempo di Coronavirus, la carità non può essere sospesa dall’esperienza della comunità cristiana e che ciascun credente è chiamato a farsi prossimo in forza della propria vocazione di cristiano. Molte possono essere i “segni”, le prossimità che come comunità o singoli possiamo attivare, dalle più semplici come il “fare la spesa” a chi in questo momento è impossibilitato sino a quelle più audaci -come comunità- magari mettendo a disposizione appartamenti per i post-ospedalieri.

Don Moreno Locatelli
direttore Caritas diocesana

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