17 novembre, XXXIII Domenica Tempo Ordinario 

L’anno liturgico sta ormai volgendo al termine e, come spesso accade nel concludere qualcosa, siamo chiamati a confrontarci con la fine: tema non facile e che forse tendiamo a sorvolare, soprattutto quando, come nel corso degli anni (liturgici e no) a una fine segue un nuovo inizio 

La prima parte del Vangelo di questa XXXIII domenica del Tempo Ordinario ci pone però davanti non a una ma alla fine. Gesù, parlando dell’oscuramento del sole e della luna e del crollo delle stelle, descrive il venir meno dello spazio e anche del tempo (basti pensare all’alternarsi del giorno e della notte, regolato proprio dal sole), due dimensioni al di fuori delle quali non riusciamo neppure a immaginarci… In questo quadro, indubbiamente terrificante, avviene la venuta del Figlio dell’Uomo: si tratta di un elemento forse meno appariscente degli altri grandi segni cosmici che lo hanno preceduto; eppure, proprio il Figlio dell’Uomo è

Colui che è capace di dare a questi segni un significato nuovo, così che la fine non sia più dissoluzione e morte ma raduno universale dei suoi eletti. 

Gesù descrive poi l’approssimarsi della Sua venuta paragonandola alla pianta del fico, i cui rami diventano teneri e le cui foglie spuntano quando l’estate è ormai vicina. La dissonanza rispetto alla prima parte è forte: là la nostra immaginazione era scossa dalla catastrofe cosmica, qui essa è toccata (soprattutto per chi, come Gesù, ben conosce la campagna) su tasti ben più domestici e familiari. Ancora scossi dalla prima, potremmo rischiare di soffermarci meno su questo seconda parte del Vangelo mentre anch’essa ha molto da dirci, se solo educhiamo la nostra attenzione e la nostra sensibilità a cogliere Dio in ogni tratto della sua creazione: non solo in quelli grandiosi (che forse non vedremo mai) ma anche (e soprattutto) in quelli quotidiani. 

Da ultimo Gesù elenca tre detti. Nel secondo, ci assicura che «passeranno» cielo e terra, ma non le sue Parole: ansie e paure davanti a una fine ignota sono certo comprensibili ma la Parola che Gesù ci ha lasciato (e che non passerà, come ci ha appena ricordato) non ci permette di vederla in questa luce, presentandocela invece come il Suo ritorno e il nostro raduno definitivo attorno a Lui. Nel terzo detto, Gesù rivela che il Padre ha riservato a Sé la conoscenza di «quel giorno e quell’ora»: pur non sapendo quando arriverà la fine, sappiamo che il Padre ha già mandato a noi Suo Figlio: è questo l’evento determinate, nel quale possiamo scorgere il senso definitivo del primo detto, in cui Gesù afferma che «tutto questo» doveva avvenire prima che passasse la sua generazione. Dopo la Pasqua, il corso della storia è ormai segnato, così che possiamo guardare la fine, del mondo e nostra, con occhi nuovi. 

don Luca Gasparini 

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