3 novembre, XXXI Domenica del Tempo Ordinario

Esiste un “prima” del primo comandamento: Ascolta! Dio va ascoltato, non visto o toccato: non è un idolo. Se va ascoltato, significa che Dio parla, esce dal suo silenzio eterno e si rivolge personalmente ad un popolo, a uomini e donne che possono relazionarsi con lui. Che cosa deve ascoltare il suo popolo? Ecco: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Dio è il Signore che lo ha generato, lo ha scelto gratuitamente, per amore, lo ha liberato da una umiliante schiavitù perché solo nella libertà quel popolo avrebbe potuto costruire la tua storia. Posto questo inizio, ecco il comandamento che in quella storia trova il suo fondamento e la sua motivazione: Tu amerai il Signore tuo Dio… Riconoscendo nella fede che Dio è l’unico Signore che per primo e gratuitamente lo ha amato, il popolo chiamato ad ascoltarlo è il popolo che deve amarlo, deve non sottrarsi ad obbedire alla sua volontà, deve mettere nel cuore i suoi precetti. Nel rispondere al suo interlocutore, Gesù, educato e cresciuto nella religiosità ebraica, si riallaccia a quell’ Ascolta, Shemà Israel (è un atto di fede, fondamento della vita morale ebraica e cristiana): ribadisce il suo essenziale contenuto, ma aggiunge qualche tocco di originalità. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore….

Prima che comandamento e legge, amare Dio è dono suo, è amare perché lui per primo e con pura gratuità ci ha amati, è gioire nel fare la sua volontà. E se amare Dio con tutto il cuore sembra impossibile alle nostre forze, S. Agostino avverte che “Dio dona ciò che comanda”. Ed è Gesù il dono in assoluto, la grazia immeritata del Padre: in lui Dio è diventato il “nostro Dio”, “uno di noi”, “uno che dona la vita per noi”. Quindi, colui che comanda di amare è la fonte stessa a cui possiamo attingere la capacità di amarlo. E se il comando è al futuro(tu amerai) comprendi che amare è un percorso a tappe che impegna ogni giorno ad agire per amore e a fare tutto per amore. Percorso a volte accidentato in cui ci può stare anche la caduta. Ma sai che c’è sempre Lui che ti rialza e ti dona la forza di poter ricominciare con speranza.

Il compimento non è nell’oggi: bisogna attenderlo perché avverrà solo nel futuro ultimo quando Dio che è amore lo vedremo faccia a faccia, così com’è.

Il secondo comandamento è questo. Amerai il tuo prossimo come te stesso. Due comandamenti, un solo amore. Inscindibile l’amore a Dio dall’amore per l’uomo. Dio non è un concorrente dell’uomo. “Se uno dice: amo Dio e odia suo fratello è bugiardo”(1Gv. 4, 20). La novità di Gesù rispetto al comandamento antico è individuabile percorrendo tutto il Vangelo. Prossimo da amare non è solo il consanguineo e il conterraneo, ma è anche l’estraneo, lo sconosciuto, l’eretico: a tutti devi farti prossimo fino a riconciliarti qualora fosse avvenuta la rottura del rapporto e al nemico tu devi perdonare quando fossi stato maltrattato e offeso. Se poi la misura dell’amare è “come te stesso”, significa che anche tu devi amarti, ma non farti idolo, altrimenti deformeresti la tua stessa identità: sei immagine di Dio. L’amore a Dio e al prossimo “vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”.

Se il culto a Dio non si concretizza nella fedeltà all’uomo, è culto vuoto, falso e sterile. Questa è la radicalità cristiana ed evangelica, ma già proclamata dagli antichi profeti. Allo scriba interlocutore Gesù risponde: “non sei lontano dal regno di Dio”. Che cosa gli manca? Il regno di Dio è venuto ed è presente in Gesù. Solo la fede in lui unita alla decisione di seguirlo fa appartenere al Regno. Non basta osservare anche il comandamento più grande. Il cristianesimo non è semplicemente una morale affidata alla buona volontà dell’uomo. Imprescindibile il fondamento della fede. Lo scriba era in cammino verso la fede in Gesù: gli mancava il passo decisivo. L’avrà fatto?

don Luigi Cacciabue

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