L’episodio del Vangelo di questa domenica ci è noto attraverso le versioni di più evangelisti e, forse, quella che la liturgia ci offre è la versione più breve. Tuttavia in essa sono contenuti gli elementi fondamentali per cogliere il messaggio che la Parola ci offre per nutrire il nostro cammino di fede e maturare in una risposta sempre più consapevole alla chiamata del Signore ad essere suoi discepoli.
Al centro di tutto potrebbe esserci una domanda: cosa mi aspetto io da Cristo? È fondamentale questa, perché dalla risposta dipende la capacità che abbiamo di riconoscerlo quando si presenta a noi. A Nazareth nella sinagoga la scena ruota intorno alle attese che il popolo aveva del Messia, o comunque di un profeta potente. La Scrittura lo aveva annunciato e promesso, nel culto e nella preghiera personale si invocava con insistenza il suo avvento eppure, per ragioni diverse, ci si era costruiti un’immagine dell’Atteso con determinate caratteristiche. da lui ci si aspettava una certa modalità di manifestazione, sì pretendevano dei segni e una serie di risultati da ottenere. Gesù spiazza completamente queste attese!
Non solo in questo episodio ma in tutta la sua missione, l’uomo di Nazareth esce dagli schemi che si erano formati nella mentalità del popolo e porta i suoi a riconoscere il senso più profondo e vero della venuta dell’Emmanuele: salvare l’uomo facendosi uomo. Paradossalmente ciò che nell’episodio di oggi scandalizza e crea rifiuto è in realtà la novità sconvolgente del compimento delle profezie. Dio non è più “altro” rispetto all’uomo, ma sceglie di farsi uomo, di entrare nella storia, di abitare in una città e in un popolo, all’interno di una famiglia umana, come “figlio del falegname”. La prossimità dell’Eterno a ciò che è fragile e debole è la “buona notizia” offerta a tutti.
Gli abitanti di Nazareth, gli uomini pii che ogni sabato ascoltavano le Scritture per sentirsi vicini a Dio non riescono ad accettare la Sua mano tesa verso di loro e chiudono il cuore.
Per questo il Vangelo si conclude con Gesù che percorrere i villaggi vicini, ma esce dalla sua città, come a dire che la Grazia di Dio non può avvicinarsi ai cuori che rifiutano di accoglierla. è un grande messaggio questo anche per noi, un ammonimento a non attendere la venuta del “nostro” Dio, la sua manifestazione secondo ciò che noi vogliamo faccia. Il vero credente, il cristiano venuto discepolo del Maestro, vive l’atteggiamento dell’attesa accogliente, dello sguardo attento per cogliere dentro la storia, e non fuori di essa, tutti i segni del passaggio di Dio che opera anche oggi la sua salvezza. È un’attenzione importante perché da essa dipende la riuscita della nostra vita. Il Signore, infatti, non potrà operare nulla in noi finché non troverà questa disponibilità ad accogliere la sua azione. E questo si chiama fede
don Carlo Cattaneo