Messa Crismale, Mons. Gervasoni: «Attenti al bene comune»

È stata celebrata giovedì scorso, 28 maggio, in Duomo la S. Messa Crismale, che come sappiamo non ha potuto essere celebrata il Giovedì Santo a causa delle chiusure per il coronavirus. La S. Messa Crismale, con la benedizione degli Oli Santi, ha visto la partecipazione di numerosi sacerdoti della diocesi, in una dimensione certamente diversa dal solito, ma non per questo meno significativa e vissuta in fraterna comunione dei sacerdoti con il proprio vescovo. Pubblichiamo l’omelia di Mons. Gervasoni, che ha toccato i temi attuali di questo periodo di pandemia, con l’invito a cogliere quei “segni” che ci interpellano e ci provocano per un nuovo atteggiamento di relazionalità pastorale.

Carissimi presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, fratelli e sorelle, ci troviamo in una data diversa per celebrare l’Eucaristia del Crisma, per i motivi che conosciamo. Balza subito agli occhi la diversità della celebrazione di quest’anno. Sicuramente il fatto che nel Giovedì Santo non si possa celebrare la messa al di fuori della messa crismale e di quella In coena Domini, rende più suggestiva e unica la celebrazione in cui i ministeri della Chiesa sono raccolti attorno alla memoria di Cristo nell’ultima cena. Quest’anno sottolineiamo di più il dono del Ministero ordinato, anche perché non ci è possibile radunare molte persone in un luogo chiuso.

Viviamo qui, in piccolo, quello che abbiamo “sopportato” nei mesi scorsi, dove i presbiteri hanno celebrato per il popolo, ma senza il popolo presente.

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Proprio l’accentuazione della dimensione ministeriale mi suggerisce di proporre a tutti voi alcune riflessioni che ci devono guidare in questo difficile periodo che si apre dinanzi a noi, dopo la sospensione significativa delle relazioni sociali nei mesi scorsi. Sabato sera celebreremo i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana dei catecumeni adulti della nostra Diocesi. Sarà l’occasione di invitare soprattutto i fedeli laici perché vivano quella celebrazione con l’atteggiamento di chi veglia nell’attesa e nell’invocazione dello Spirito Santo per la Pentecoste. In quella occasione cercheremo di chiedere al Signore che lo Spirito guidi i nostri cuori e le nostre menti perché non ci smarriamo d’animo e sappiamo riconoscere i segni del Regno che il Signore ci dona oggi. E lo faremo proprio celebrando i sacramenti della vita cristiana a tre nostri fratelli cha hanno percorso il cammino catecumenale con impegno verso la vita nuova.

La prima riflessione che vi sottopongo è che il tempo che ci è dato di vivere non è solo difficile e triste, ma è anche ricco di stimoli e di provocazioni. L’epidemia ha messo in difficoltà il modello culturale e sociale che sorregge la nostra vita, ma non è tutto male quello che siamo costretti a vivere. Il nostro recente Sinodo per le Unità Pastorali aveva già segnalato che molte cose sono cambiate e che dobbiamo riconoscere i segni dei tempi, per essere fedeli al mandato missionario del Signore. Ho nominato i nuovi Delegati vescovili che accompagneranno il cammino pastorale per realizzare queste Unità Pastorali. Con loro dovremo rivedere ancora più a fondo le linee della pastorale che vorremo seguire per essere all’altezza del compito che il Signore ci ha dato. Questa epidemia ha messo in discussione in modo forte la relazione sociale e culturale che ha guidati finora.

Il modello individualistico e consumistico che abita nel profondo del nostro cuore e che fa di noi cercatori di benessere individuale in modo spesso inconsapevolmente acritico, è stato ammutolito dal virus. Ci siamo riscoperti fragili e bisognosi degli altri, ma, soprattutto, abbiamo capito che occorre prendersi cura delle relazioni e della ricerca del bene comune.

Ognuno era preoccupato di trovare un modo di vita che lo soddisfacesse all’interno di una relazione sociale collaudata e riferita a istituzioni preposte, intese come erogatrici di servizi tutelati dalla legge. Oggi ci accorgiamo che le istituzioni non sono in grado di prendersi cura di noi, benché continuino ad affermarlo. Ci siamo troppo a lungo dimenticati che il bene comune deve essere una delle nostre attenzioni importanti e impegnative.

Ma il bene comune non si deduce da regole fisse. Chiede attenzione alla realtà, alla storia e alle situazioni personali che si stano vivendo. Chiede intelligenza e generosità, dedizione e spirito di servizio. Chiede di attivare responsabilmente la collaborazione e il contributo di tutti. Questo è lo spirito che deve guidare il nostro compito pastorale di attivare le Unità Pastorali. Portare il Vangelo laddove gli uomini vivono, perché riconoscano la presenza del Regno di Dio e si convertano al comandamento dell’amore in Cristo.

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Da questa osservazione deriva un’altra, molto collegata. Quest’estate i nostri ragazzi e i nostri giovani chiedono di essere aiutati a uscire dalle costrizioni della chiusura in casa. Un anziano non ha grandi problemi a limitare le sue attese per un’estate. Un giovane che sta crescendo potrebbe vivere questa esperienza in modo gravemente traumatico e sentirsi costretto in modo violento a un isolamento inerte, difficile da governare. Ne potrebbe portare le conseguenze per tutta la vita. Ne patirebbero in modo grave le relazioni familiari. Ne verrebbe una prevedibile rivendicazione alla comunità ecclesiale, incapace di vivere la sua dimensione comunitaria in modo genitorialmente evangelico. Le limitazioni di relazione imposte dalle Linee Guida ministeriali ci costringono a proporre qualcosa di diverso rispetto a quello a cui eravamo abituati. I nostri Grest erano qualcosa di bello e di utile. Erano sostenuti da grande generosità e impegno. In taluni casi erano anche molto vigilati dagli angeli custodi e comunque vedevano un grande impegno da parte dei preti che chiedevano aiuto e collaborazione a tanti giovani animatori, che potevano così vivere una bella esperienza di impegno e di responsabilità. In questo contesto era anche possibile provare a proporre senza grandi difficoltà un cammino di preghiera e di spiritualità.

Come ho ricordato sopra nella prima riflessione, l’epidemia ha sconvolto le nostre relazioni, ma non deve impaurire il nostro cuore. Questi ragazzi ci stanno a cuore quest’anno ancora di più che negli altri anni. Poiché sono in grave difficoltà e poiché il modello di cultura che i genitori vivono mette in crisi le loro proposte educative, noi dobbiamo e possiamo provare a proporre qualcosa di nuovo che renda protagonisti i giovani stessi di fronte alle difficoltà della realtà odierna.

L’oratorio non appare più come il luogo del tempo libero e la proposta oratoriana non è più quella del divertimento intelligente e positivo, aperto alle relazioni buone con gli altri e con il Signore. L’oratorio è il luogo in cui insieme ci si apre alla vita in modo vero e autentico. Se quest’anno ci sono gravi difficoltà per tutti, l’oratorio aiuta a capire e a vivere queste difficoltà. E lo fa rendendo protagonisti i giovani stessi, aiutandoli a capire, imparando positivamente una disciplina interiore, addestrandosi ad aspettare, contribuendo con gli altri a proporre esperienze di socializzazione e di responsabilità. Certo tutto questo avverrà nello spirito dell’estate e del gioco, ma non potrà esprimersi come negli anni scorsi, dove l’attenzione alle condizioni ambientali erano collaudate e dove la socializzazione era per molti versi primaria e poco più che immediata.

Esorto tutti voi a considerare le forme di azione che potremo attuare. Non riusciremo ad accontentare tutti. Non lo abbiamo mai fatto e sarebbe impossibile. Ma cercheremo di aiutare i ragazzi e le loro famiglie a vivere in modo costruttivo e bello il tempo estivo come tempo in cui il Signore continua a chiamare e in cui ognuno può fare qualcosa per gli altri e così tutti vivano meglio. Chiedo di attivare collaborazioni con le realtà del territorio e con le amministrazioni locali, per imparare a lavorare in rete e per cercare di non lasciare indietro nessuno. Sarà difficile, ma possiamo e dobbiamo provare. Dovremo poi imparare a personalizzare i percorsi educativi che proponiamo. Dovremo imparare ad attivare competenze anche professionali che di solito lasciavamo ai genitori e alla scuola.

Impareremo, però, ciò che ogni prete di oratorio ha imparato nel tempo, ossia a proporre cammini educativi e ricreativi, avendo ben presenti i volti e le storie dei ragazzi e delle loro famiglie, portando nella preghiera al Signore le loro situazioni e le loro difficoltà e ringraziandolo per le tante cose belle che da questa esperienza scaturiranno. E chissà che qualche vocazione scaturisca da questa testimonianza.

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Infine vorrei, nello stesso spirito, indicare che il programma pastorale del prossimo anno porterà a termine il cammino di quello di quest’anno, benché sia stato molto mortificato dalla pandemia. La vita spirituale sarà ancora oggetto della nostra riflessione pastorale, partendo, però, dalla nostra capacità di capire e di accompagnare la situazione culturale e sociale di questa epidemia e della crisi sociale ed economica che costituirà il più grave problema di tutti noi a livello sociale e politico.

Noi non affronteremo i dettagli sociali e politici, ma quelli spirituali. La Chiesa non ha il compito di elaborare azioni politiche di eccellenza, anche perché c’è da dubitare che ne sia capace, ma ha il compito di dare spirito a tale azione. La Chiesa deve attingere dalla carità la forza di stare con gli ultimi, di farsi carico dei poveri, di imparare dai bambini qual è la sapienza che genera beatitudine, anche nelle peggiori condizioni sociali. La Chiesa ha il compito di riportare gli uomini alle dimensioni educative del loro agire sociale, di riportarli alle ragioni caritative dell’impegno per la pace e la giustizia, di dare ragione della speranza e di riconoscere la messe abbondante del Regno.

Siamo servi inutili, ma anche siamo persone piene di riconoscenza davanti al Signore, che ci chiede di avere occhi per vedere e orecchi per udire.

Permettetemi, per finire, di rallegrarmi con i presbiteri che celebrano il loro giubileo sacerdotale. Sessant’anni di ordinazione, don Pietro Nardi, cinquant’anni di ordinazione, don Aldo Casone, don Pietro Gariboldi e don Maurizio Zonca, venticinque anni di ordinazione, don Luca Pedroli e don Gianluca Zagarese. Affidiamo al Signore nella preghiera i nostri confratelli defunti nel corso dell’ultimo anno: Don Luciano Dall’Ò, Mons. Pietro Invernizzi, d. Carlo Pasini, don Pierfelice Tagliacarne.

+ Maurizio, Vescovo

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