Quaresima e Giubileo, il perdono e la speranza

«La quaresima è preziosa e importante benché in controtendenza rispetto al sentire immediato culturale». Il vescovo di Vigevano, monsignor Maurizio Gervasoni, dà una lettura del tempo quaresimale sia in relazione al contesto socio-economico in cui si inserisce sia rispetto al Giubileo sia riguardo al momento che attraversano e il mondo e la comunità diocesana.

Mons. Gervasoni, a cosa serve la quaresima nel 2025? Nell’anno liturgico sono presenti due grandi momenti di attesa e di preparazione, che sembrano del tutto anacronistici rispetto al sentire odierno e alle vite, anche dei cristiani, caratterizzate da un’inevitabile frenesia e dall’impossibilità di fermarsi.

«Invece è, esattamente come stabilisce la liturgia, tempo favorevole, proprio perché la cultura che stiamo vivendo è caratterizzata dalla frenesia, che non è una buona consigliera e fa riferimento alle pulsioni e poco all’atteggiamento sapienziale. Inoltre la frenesia è prestazionale, invece nell’esercizio e nell’educazione alla libertà occorre anche imparare a essere riflessivi e introspettivi al fine di trovare la questione della realtà, della verità. Allora la quaresima nel 2025 è importante proprio perché è nell’anno giubilare. Per il Giubileo ho presentato una riflessione che in tempo di quaresima mi piacerebbe fosse approfondita in tutte le parrocchie e in tutte le comunità cristiane, sul tema di colpa, perdono, penitenza e indulgenza come dimensioni strutturali della libertà umana, non facoltative, non occasionali, ma strutturali. Questo per permettere di capire che la libertà dell’uomo si gioca innanzitutto a partire da una corretta osservazione del vissuto, per andare alla ricerca nel vissuto di ciò che è promettente e buono e di ciò che invece è ingannevole e cattivo. Se non si fa questo esercizio l’uomo perde dignità, perde profondità, diventa molto pericoloso»

In che modo la coincidenza dell’Anno Giubilare e il particolare tema della “speranza” si collegano a questi quaranta giorni verso la Pasqua?

«Il modo dal punto di vista teologico è semplice da individuare proprio perché la Pasqua è il fondamento della speranza. Se non ci fosse la risurrezione e la glorificazione di Gesù, la fine di Gesù non prometterebbe niente di buono per l’umanità e quindi non si parlerebbe di speranza a partire dalla Pasqua. La speranza dovrebbe essere cercata in altri elementi costruttivi di fiducia e di positività. È proprio il destino pasquale di Gesù a indicare la vera radice della speranza. Sulla dinamica a cui ho accennato prima, della libertà di fronte a una storia, che dipende dal bene o dal male che l’uomo sceglie, si può costruire la base su cui prevedere uno sviluppo giusto e buono della libertà e quindi la speranza. Ora, la speranza che il Signore ci dà però non è alla portata dell’uomo, è dono di Dio, è la risurrezione, non è il compimento di un disegno che l’uomo ha messo in campo, ha cercato e ha raggiunto, è affidarsi alla volontà del Padre anche di fronte al male degli uomini come atto di amore che riceve il dono dello Spirito e dona coraggio di redenzione. Questi sono i misteri cristiani per eccellenza e ritornare su di essi in maniera più pacata e più approfondita, nello stesso tempo più fiduciosa, mi sembra un’occasione da non perdere»

Sua Eccellenza il vescovo Maurizio Gervasoni

Nel testo che ha scritto in preparazione del Giubileo afferma che «colpa, perdono e penitenza rinviano alla dimensione pubblica in modo particolare» e che «la penitenza diventa una dimensione essenziale della vita cristiana, sia a livello personale, sia a livello ecclesiale». In che senso?

«Quando si tratta di colpa pensiamo di andare a investigare soprattutto l’interiorità, che è comunque un aspetto importante, però il problema è che la dimensione della colpa non è riconducibile alla questione del riconoscimento degli errori. Se io faccio un calcolo matematico e arrivo a un risultato e un altro mi fa presente che quel risultato lì è sbagliato io posso andare a cercare nell’esecuzione del calcolo l’eventuale errore, che però si dà come un dato, oggettivo. Con la colpa non funziona così perché nella colpa non c’è solo un errore, c’è anche l’attribuzione di un senso di responsabilità del soggetto che ha posto in essere l’errore come tale e questo può accadere soltanto in un rapporto relazionale, quando valuto ciò che ho compiuto e che fa riferimento alla mia libertà in ordine a un rapporto relazionale con l’altro e a ciò che riteniamo tutti e due giusto; quindi il carattere pubblico è la condizione per accorgersi di aver fatto una cosa che non dovevo fare, non perché semplicemente sbagliata, ma perché in qualche modo ingannevole sul senso della relazione. Per questo motivo la colpa ha carattere pubblico perché la colpa la devo confessare, devo cioè riconoscere a un terzo che ciò che ho fatto è sbagliato e quindi chiedo un rapporto relazionale con gli altri di accoglienza nonostante la colpa, non può che essere relazionale, perché? Perché la verità dell’uomo è relazionale, la verità dell’uomo è la costruzione con gli altri della propria identità, che nasce soltanto dalla relazione con un’altra persona. Il carattere pubblico allora è anche legato alla manifestazione delle condizioni del perdono; come posso pretendere di essere perdonato se colui che ho offeso non mi dice che mi perdona?

La relazione è necessaria, chiedo il perdono e ottengo il perdono, necessariamente è gratuito. La persona nasce dalla relazione necessariamente, questo è il primo fondamentale aspetto del carattere pubblico di queste cose

E gli altri?

«Il secondo è che la configurazione effettiva di tutte queste dimensioni accade nelle figure delle relazioni umane, quindi nelle varie forme di realizzazione della relazione: interpersonale, amicale, comunitaria, sociale, politica, ecclesiale. Tutte queste forme strutturano in modo diverso, specifico, sia la colpa sia il perdono e il cuore di questa cosa è il carattere sacramentale del perdono. Nella Chiesa Cattolica la richiesta di perdono attua la confessione del mistero pasquale in cui il Signore perdona, soltanto in un atto pubblico, cioè in un sacramento, dove la riconciliazione del peccatore con la Chiesa è segno e strumento, causa ed effetto insieme dal punto di vista simbolico, di ciò che è accaduto sulla croce di Gesù, per cui la richiesta di perdono è accolta dall’amore di Dio che ci riconcilia con coloro da cui c’eravamo allontanati, gli altri e Dio stesso. Infine l’indulgenza del Giubileo è un atto ecclesiale pubblico. È la struttura penitenziale dell’indulgenza, camminare insieme in amore e fede che rende presente l’amore di Dio che irrompe dentro di noi sia nel chiedere perdono sia nel donare perdono»

Almeno l’inizio della quaresima è anche nel segno della sofferenza di papa Francesco.

«Io non sono a conoscenza di quello che il Papa sta vivendo, certamente un elemento importante della vita cristiana è che dal comando di Gesù agli apostoli “andate, guarite i malati”, viene che l’attenzione alla condizione di mancanza di salute è vista da Gesù come condizione che apre le porte all’affidamento a Dio e quindi a riconoscere la misericordia di Dio come costitutiva della nostra felicità e della nostra beatitudine. Quindi da un lato l’empatia nei confronti di papa Francesco che, come tutti i malati e con tutti i malati, soffre e soffre interpellando il senso della vita anche in noi, quindi per lui è un costante atto di fede e di affidamento che vogliamo sostenere. Dall’altro è un momento di sofferenza, ma anche di sofferenza costruttiva perché la prospettiva di mortalità è evidente. Non è un raffreddore quello di papa Francesco, la possibilità che egli muoia è reale e anche urgente. Francesco è un uomo come tutti e la mortalità è costitutiva del nostro essere uomini. Come interpretare questo alla luce della fede e della solidarietà nella Chiesa è pure un atto importante che in questo tempo giubilare chiede il riferimento alla speranza. Ma del resto “Pellegrini nella speranza” mette la voce dei malati come voce significativa di speranza, quindi il Papa sta testimoniando quello che ha scritto. Infine, l’auspicio che il Papa possa riprendersi, possa ritornare a vivere la vita nel ministero dei successori di Pietro, sapendo però che un’esperienza di questo tipo in una persona di 88 anni non può non lasciare conseguenze. Anche nella Chiesa i criteri di efficienza magari non sono gli unici»

Se la quaresima può essere vista come una transizione, è il mondo intero e soprattutto quello che è chiamato Occidente, ad affrontare negli ultimi anni una transizione, che dall’insediamento del presidente Trump ha subito un’accelerazione molto forte. In che contesto si muove la Chiesa cattolica oggi e qual è il ruolo dei cattolici nel mondo e in Italia, dove da mesi si parla di “un nuovo impegno” politico, che in fondo è stato il tema stesso della Settimana sociale di Trieste del 2024?

«È una domanda troppo ampia e troppo difficile. Per dire cosa dicono i cattolici dico che non lo so, posso dico cosa penso io e faccio fatica a pensare in queste cose. Gradirei che in questa quaresima i cattolici dedicassero un po’ di tempo e di preghiera a questo argomento, non per nulla il nostro Programma pastorale è proprio sul socio-politico, l’attenzione di testimonianza dei cattolici e dei credenti nel campo socio-politico è una delle condizioni di realismo della loro fede, non è secondaria. Ormai gli scenari politici internazionali e anche nazionali mostrano il tempo del riferimento ai criteri del diritto personale, internazionale, è finito. Il criterio di azione politica non è più il rispetto dei diritti, delle buone relazioni tra le nazioni, ma di una coerenza di rapporti di forza che rinviano a interessi intuiti, allusi, ma né esplicitati né dichiarati. Questo atteggiamento mette in crisi le istituzioni come Onu, l’Oms, tutte queste organizzazioni che avevano la forza sul riconoscimento di un diritto internazionale come criterio di valutazione delle relazioni tra gli attori politici.

Non è negato, di fatto è solo formalizzato e lo è per giustificare gli interventi la cui ragione politica per me non è l’osservanza del diritto, ma l’osservanza dei “diritti di qualcuno”.

Che gli statunitensi siano i migliori e che quindi possano fare la politica del migliore francamente non mi sembra che sia giustificato dal punto di vista del diritto. A ciò si aggiunge che a livello di esercizio del potere politico, invece che esaltare il confronto tra le parti sociali e le espressioni politiche, si privilegia il ricorso alla fiducia diretta in un personaggio che a priori dovrebbe fare l’interesse della collettività; a quali condizioni non è sottoposto a giudizio, ma è affidato fiduciariamente. L’unico elemento di democrazia che è salvaguardato è che questo è “ad tempus” e quindi a un certo punto è confermato o meno dal voto popolare, tra l’altro in grande disarmo esso stesso. Queste due considerazioni accentuano la necessità di una riflessione critica e anche un po’ allarmata sulla condizione di partecipazione democratica della nostra nazione, ma anche del mondo intero. Sta uscendo la demonicità della politica e credo che in questo i cattolici abbiano il compito della profezia e di una testimonianza di una politica che è al servizio dell’uomo e non invece di rappresentazioni più o meno arbitrarie del rapporto tra gli uomini»

Come arriva alla quaresima la comunità diocesana e qual è il percorso che è chiamata a fare in queste settimane?

«Il percorso è affidato agli attori istituzionali, quindi le parrocchie con i loro parroci, ognuno dei quali manifesta sempre grande creatività nell’interpretare questo compito, all’interno delle linee che il Vescovo dà e la Chiesa dà. Durante la quaresma ci sarà il percorso dell’Equipe sinodale e quindi del Programma pastorale che esorto a vivere con intensità. Il secondo elemento è valorizzare in dimensione penitenziale il cammino giubilare. Noi andremo a Roma in pellegrinaggio in periodo quaresimale, ma anche le iniziative che il Giubileo fa e propone per la quaresima sono evidentemente tutte in questa linea. Infine il tentativo di vivere insieme e di manifestare insieme il cammino di speranza penitente e nello stesso tempo gioiosa che vogliamo vivere e il Signore ci dà da vivere appunto in questo tempo prezioso e bello».

Giuseppe Del Signore

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