Speranza motore dell’uomo

Le tre virtù teologali sono strettamente congiunte e inseparabili. Ciascuna ha però una sua specificità. Il rapporto tra la fede e la speranza va inteso nei termini della base rispetto a un edificio. Lo si vede chiaramente in Eb. 11,1: «La fede è fondamento delle cose che si sperano». Ne consegue che nessuno può sperare niente se misconosce i contenuti veri della fede. Se la vita interiore del credente è vuota di contenuti, la sua fede è molto fragile; e se la fede è fragile, la speranza manca di una base sicura su cui edificarsi. In questa condizione è impossibile qualunque cammino di fede.

SPERANZA E’ FUTURO La speranza è infatti la virtù che muove il battezzato verso il futuro; è insomma la virtù della speranza che produce quel movimento che siamo soliti chiamare “cammino di fede”. Dal momento, pertanto, che la speranza teologale è la virtù che mette in moto la persona credente, va affermato che la presenza e l’opera della speranza nella singola persona si distinguono dal fatto che la persona è in continuo movimento; ovviamente non si intende il moto da un luogo a un altro o il moto inteso come il nostro “fare” sotto la spinta delle agitazioni quotidiane.

QUALCOSA CAMBIA Ci riferiamo al fatto che la persona messa in moto dalla virtù della speranza, sente cambiare in sé qualcosa, ogni giorno. In questi casi la confessione sacramentale diventa una tappa del cammino e non l’occasione per confessare “i soliti” peccati.

OCCHIO ALLA BIBBIA La rivelazione biblica si arricchisce di tutti gli elementi che costituiscono la speranza teologale. Il primo barlume della speranza biblica si ha in epoca patriarcale (secc. XIX-XV a.C.), quando le aspettative di Abramo e della sua stirpe si concentrano sulla Terra Promessa. Poi, al tempo della monarchia (secc. X-VI a.C.), si concentrano intorno all’attesa del Messia, percepito come un re saggio discendente dalla stirpe di Davide. Dopo l’esilio (secc. VI-I a.C.), la speranza biblica comincia a definire la destinazione dell’uomo nell’aldilà, mentre l’attesa del Messia viene interpretata dalla letteratura “ apocalittica” nei termini di un personaggio celeste, mediatore della nuova creazione.

NUOVO E VECCHIO Il Nuovo testamento opera sulla speranza dell’Antico Testamento un trasferimento: la Terra Promessa diventa una meta esterna alla natura e al mondo: “Non abbiamo quaggiù una dimora definitiva, ma siamo in cerca di quella futura” (Eb. 13,14). L’Apostolo Paolo è poi esplicito nel dire che se Cristo è un punto di riferimento solo per le cose di questa vita, allora siamo da compiangere (cfr. 2 Cor. 15,19). Piuttosto, oggetto della nostra speranza di cristiani è l’opera della nuova creazione che Dio ha iniziato in noi, nel momento in cui ci ha dato il suo Spirito. Lo Spirito Santo ci trasfigura lentamente, comunicandoci la gloria del Signore (cfr. 2 Cor.3,18). La vita cristiana è infatti una vita trasfigurata, ossia una vita “nello Spirito”.

E questo è solo l’inizio. Tutto il resto lo attendiamo con fiducia, perché “chi ha promesso è fedele” (Eb. 10,23).

FRAINTENDIMENTI Fin dal tempo di Paolo, la speranza cristiana è stata spesso soggetta a fraintendimenti. Si vede chiaramente da 2 Ts. 3,11ss., dove l’Apostolo deve richiamare all’impegno quotidiano quei cristiani che pensavano all’attesa del ritorno del Signore come a un pretesto per scaricarsi di dosso la responsabilità nell’affrontare le vicende della vita in questo mondo. Al contrario, la speranza teologale rende più seria l’attività umana sulla terra. Infatti, la dignità umana diventa altissima solo se letta nella chiave della speranza teologale. Perciò non diminuisce l’importanza degli impegni terreni, ma li rafforza su nuove motivazioni.

IL PAPA Papa Francesco è tornato più volte in questo periodo a parlare di speranza, esortandoci a guardare con occhi nuovi la nostra esistenza, soprattutto in questo particolare momento storico in cui per diversi motivi è stata ed è sottoposta a dura prova, e guardarla attraverso gli occhi di Gesù, “l’Autore della speranza”, affinché ci aiuti a superare questi giorni difficili, nella certezza che il buio si trasformerà in luce. Francesco ha parlato tante volte di speranza, definendola come «la più piccola delle virtù, ma la più forte. E la nostra speranza ha un volto: il volto del Signore risorto, che viene “con grande potenza e gloria” (Mc. 13, 26)» (Angelus 15 novembre 2015). La speranza, quindi, non è “qualcosa”, ma “qualcuno”, proprio come esclama san Francesco nelle “Lodi di Dio Altissimo”: «Tu sei la nostra speranza» (Fonti Francescane 261). Ed «egli non abbandonerà tutti quelli che sperano in lui» (Fonti Francescane 287; cfr. Sal. 33, 23).

don Alberto Fassoli

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