Virtù, la prudenza

«La prudenza non è mai troppo, ricordate: la prudenza non è mai troppo!»: con questa frase il grande Totò prende congedo dalla squadra dei “soliti ignoti” nell’omonimo film di Monicelli del 1958, dopo averli in qualche modo “istruiti” sulle tecniche per fare il colpo, terminato col piatto di pasta e ceci. In quel contesto, evidentemente, la prudenza veniva intesa come una sorta di cautela, di circospezione; questo significato del termine “prudenza” è quello comunemente inteso al giorno d’oggi: «guida con prudenza», «sii prudente», o, come variazioni sul tema, «occhio», «stai attento» con annesse varianti vernacolari.

CARDINI Tuttavia una visione del genere della prudenza è abbastanza riduttiva. Essa infatti è ben più della semplice cautela: è una virtù cardinale, un qualcosa che forse, ai più anziani, potrebbe ricordare alcune nozioni imparate nell’ora di dottrina (ora chiamata catechismo). Se caratterizziamo la virtù come una disposizione stabile a compiere atti buoni, finalizzati al miglioramento (o, in altre parole, alla fioritura) dell’uomo (virtù umane/morali) e al conseguimento della vita eterna (virtù teologali), le virtù cardinali sono quell’insieme di abiti morali (habitus) attorno a cui ruotano tutte le altre virtù che l’uomo può conseguire “naturalmente”. Esse sono la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza.

PRATICA DEL BENE Il Catechismo della Chiesa Cattolica (Ccc) spiega chiaramente, al numero 1810, il nesso tra l’acquisizione e sviluppo delle virtù umane e gli aiuti divini (cioè le virtù teologali) che permettono un loro ulteriore miglioramento, in vista sempre della pratica del bene, sia legato all’ambito naturale (cioè umano), sia a quello soprannaturale (divino): «Le virtù umane acquisite mediante l’educazione, mediante atti deliberati e una perseveranza sempre rinnovata nello sforzo, sono purificate ed elevate dalla grazia divina. Con l’aiuto di Dio forgiano il carattere e rendono spontanea la pratica del bene. L’uomo virtuoso è felice di praticare le virtù». La più importante tra le virtù cardinali è proprio la prudenza. Il compito della prudenza è quello di deliberare sul da farsi in determinate circostanze e sui mezzi da adoperare per raggiungere il fine. Come si vede, l’ambito di applicazione della prudenza è sia individuale (il singolo uomo) sia comunitario (la famiglia e lo Stato). Essa è detta «auriga delle virtù», perché ha proprio il compito di coordinare al meglio le altre virtù, dirigerle, indicare loro le regole per agire e la loro misura. Il n. 1806 del Ccc spiega:

Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare.

COME IMPARARLA? Vale a dire: in una pluralità di mezzi che possiamo adottare per conseguire un fine la prudenza ci permette di adottare quello più adatto allo scopo. Chiaramente, il fine non giustifica i mezzi! Perché una nostra azione sia buona, infatti, si richiede che sia il fine (lo scopo della nostra azione) sia l’oggetto (ciò che vogliamo fare e i mezzi con cui farlo) e le circostanze delle nostre azioni siano tutti buoni. Come sviluppare la prudenza? Con l’esperienza (dunque la memoria), ascoltando i consigli dei più esperti e saggi, ragionando bene e non con precipitazione, essendo cauti, circospetti e previdenti. Si vede qui come la cautela e la circospezione non esauriscono il significato del termine “prudenza”, come avevamo detto in apertura; così come si vede pure che la prudenza agisce sul nostro modo di ragionare in vista di compiere delle azioni, cioè agisce sul nostro intelletto. E Dio come ci aiuta a essere prudenti? Col consiglio, dono dello Spirito Santo, che aiuta e corona la prudenza in vista del conseguimento della vita eterna, conseguimento che passa anche dalle nostre azioni sulla terra, oltre che dalla misericordia del Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.

fra Tommaso R. Magarelli OP

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