Referendum, si o no?

Il referendum del 20-21 settembre chiama il popolo a decidere se approvare o non approvare ciò che praticamente tutti i partiti, compresi quelli di opposizione, hanno deciso: il taglio dei parlamentari.. Non è la prima volta che si pensa a ritoccare il numero dei parlamentari. Tutti i progetti di riforma costituzionale finora presentati – dalla Commissione Bozzi (1983) fino a quella Renzi-Boschi (2016) – hanno previsto una loro riduzione. Nessuno ha mai parlato di eversione o temuto derive parlamentari. Ma perché mai, una questione così delicata, approvata dal Parlamento con maggioranze bulgare, deve deciderla il popolo? Perché per la prima volta è stato richiesto dai parlamentari, alterando così la sua funzione che è quella di consentire agli oppositori della riforma di rivolgersi ai cittadini. Ci si domanda allora chi sono gli oppositori, visto che alla Camera hanno votato all’unanimità e al Senato si è fatto faticosamente mancare la maggioranza dei 2/3… In una simile confusione, torniamo a noi, che dobbiamo votare per decidere se vogliamo o meno ridurre il numero dei parlamentari. Ma perché il voto sia consapevole deve essere informato, e quanto più correttamente possibile. Sicché l’obiettivo di questo breve intervento a ridosso del referendum non è quello di appoggiare né il SI né il NO. Ma spiegare semplicemente quali potrebbero essere le conseguenze dell’una o dell’altra scelta.
Prima di procedere, è necessario però sfatare tre miti. Anzitutto, non si può parlare di alterazione della Costituzione del ’48. Il suo testo originario, infatti, non prevedeva un numero fisso di parlamentari; lo prevedeva in proporzione al numero degli abitanti. Fu con la riforma costituzionale del 1963 che venne codificato il loro numero. In secondo luogo, la riduzione dei parlamentari non apporta alcun vulnus sotto il profilo democratico-costituzionale. Chi lo sostiene sovrappone ragioni costituzionali a ragioni politiche. Infine, demagogico è il tanto sbandierato risparmio sulla spesa pubblica. L’incidenza sotto questo profilo è risibile (il risparmio di un caffè all’anno per ogni italiano) rispetto ai valori in gioco. Detto ciò, passiamo a parlare delle conseguenze del Sì e delle conseguenze del NO. Poche, ma chiare.

PERCHE’ SI

La riduzione dei parlamentari (da 945 a 600) snellirà l’organo, rendendo così più efficace e più efficiente il lavoro del Parlamento. E magari gli si restituirà una maggiore centralità nel rapporto con il Governo. Votare Sì vuole però anche rimettere in moto altri processi di riforma. Dovranno, cioè, essere riscritte alcune regole in ragione della riduzione del numero dei parlamentari. Sarà così necessario modificare i Regolamenti che organizzano il lavoro delle due Camere. Le commissioni, il cui numero non è scritto in Costituzione, andranno evidentemente ridotte. Sarà peraltro necessario ridisegnare i collegi elettorali. Votare Sì non comporta, invece, una necessaria modifica al sistema elettorale. La riduzione dei parlamentari è totalmente neutra rispetto al sistema elettorale. La politica sarà libera di scegliere la legge elettorale che riterrà necessaria o opportuna da adottare, maggioritaria o proporzionale, con o senza preferenze. Certo è che però si potrebbe cogliere l’occasione per farne una più duratura e meno pasticciata. Peraltro, il nuovo numero complessivo dei parlamentari favorirebbe una scelta uninominale magari a doppio turno. E in questo modo si potrebbe valorizzare la rappresentanza dei territori e degli elettori. Al riguardo, ci si domanda: ci sarà la volontà politica per fare queste riforme? E’ evidente che risulta impossibile, allo stato attuale, rispondere a questa domanda. D’altra parte non possiamo fare un processo alle intenzioni. Ma se vince il Sì, cambiare sarà una necessità, per rendere funzionali le commissioni esistenti, per razionalizzare, per rendere coerente la riduzione dei parlamentari con un Parlamento più centrale ed efficiente.

PERCHE’ NO

Il taglio dei Parlamentari comporterebbe per ciascuno di loro un maggior numero di cittadini da rappresentare. La riforma aumenterebbe il rischio di potenziare le capacità di controllo dei leader di riferimento sui parlamentari. In altre parole, si rafforzerebbe il potere che già hanno i segretari di partito. Non si recupererebbe maggiore efficienza nei lavori del Parlamento. Anzi, si peggiorerebbe. Perché ci sarebbero meno risorse da impiegare per svolgere le medesime funzioni. Il ruolo del Parlamento sarebbe subordinato a quello del Governo. Votare NO non innescherebbe necessariamente quel processo riformista che invece dovrebbe scattare se si votasse SI. Tra tante incertezze, una è certa: qualunque sia l’esito del referendum, tre problemi dovranno comunque essere risolti: la crisi della rappresentanza, il ruolo del Parlamento e la sua endemica debolezza.

Silvia Sassi
Professore associato in Diritto pubblico comparato
presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze

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