Israele / «Non c’è pace senza giustizia»

All’alba di sabato 7 ottobre Hamas ha avviato un’operazione a metà tra terrorismo e militare contro Israele, gettando lo stato ebraico e tutto il Medio Oriente in una nuova fase di destabilizzazione i cui orizzonti andranno definiti nelle prossime settimane e mesi, a partire dalla reazione del governo Netanyahu, che da un lato ha chiesto unità al popolo israeliano e alle forze politiche dando il via alle consultazioni per formare un esecutivo di unità nazionale, dall’altro si è rivolto al paese dicendo «siamo in guerra» e «vi chiedo di rimanere forti, perché cambieremo il Medio Oriente».

LA SITUAZIONE Ma qual è la situazione della società e della politica israeliana e palestinese? Don Luca Pedroli, presbitero della diocesi di Vigevano, docente del Pontificio Istituto Biblico di Roma e abituale frequentatore della Terra Santa spiega che «ogni tanto la situazione è tesa, a volte in maniera più contenuta in altri momenti più evidente, come questi giorni. La situazione d’Israele è la prova reale di quanto emerge nella Scrittura, cioè che non c’è pace senza giustizia: nel contesto d’Israele lo tocchi con mano come senza giustizia non puoi avere una situazione di pace. Purtroppo in Medio Oriente non c’è giustizia, e questo emerge in modo forte, suscitando rancori da entrambe le parti. Ci sono delle organizzazioni che sfruttano questo malessere e lo dirottano verso forme violente».

CONTESTO Non si può insomma guardare alla crisi odierna, forse la più grave dalla nascita dello stato di Israele nel 1948, senza considerare il percorso travagliato della “questione mediorientale”. «Bisogna tenere presente – conferma don Pedroli – che quando si parla di Israele ci si riferisce a un territorio composito: alcuni territori sono sotto il controllo dello stato d’Israele, altri sotto il dominio palestinese: ovviamente per Israele si tratta di uno stato solo. Dopo il 2000, a seguito della Seconda Intifada – la rivolta palestinese seguita alla provocatoria passeggiata dell’allora leader d’opposizione Ariel Sharon sulla “Spianata delle moschee” – Israele ha deciso di creare una vera e propria barriera di separazione, suscitando nelle popolazioni palestinesi di essere segregati, come in una prigione a cielo aperto, senza libertà. Si sentono usurpati ingiustamente del loro territorio e vivono come in un carcere: addirittura i servizi necessari come acqua e gas dipendono da Israele».

guerra israele

LA STRISCIA A Gaza questa situazione si esaspera, perché si tratta di una striscia di terra di 40 chilometri quadrati in cui vivono circa 2 milioni di persone (le stime variano, 1.5 sono rifugiati) strette tra mar Mediterraneo, Egitto e Israele, con entrambi i paesi che controllano in maniera molto rigida i checkpoint di frontiera, impedendo di uscire liberamente da un territorio che ha la più grande densità abitativa del pianeta – 4000 abitanti per chilometro quadrato, in Italia è 196 circa – non ha energia elettrica per diverse ore al giorno, sconta frequenti interruzioni nella fornitura di gas e acqua potabile, ha un tasso di disoccupazione tra il 42 e il 47% a seconda delle stime, ed è stato bombardato sei volte negli ultimi venti anni (2006, 2008, 2012, 2014, 2021, 2022). Questa la realtà di un’area che, in epoca antica, era una delle più ricche del mondo. «Da entrambe le parti – commenta sconsolato don Pedroli – sono pochi che vogliono davvero una pace: la gente la desidera, ma coloro che hanno autorità agiscono in modo contrario salvaguardando il proprio interesse e la propria autonomia. Anche la popolazione è composita: sono presenti sei milioni di ebrei e tre milioni di arabi».

Gli arabi inoltre non vivono in tutti i territori palestinesi, alcuni vivono in Israele. Sono presenti anche 500mila arabi non musulmani ma cristiani o di altro orientamento.

CAPITALI Altra fonte di tensione è la condizione della città santa di Gerusalemme, che non è la capitale di Israele (per l’Onu è a Tel Aviv) né dell’Autorità nazionale palestinese (Ramallah). «Gerusalemme è l’altro nervo scoperto, perché è considerata capitale da entrambe le parti. Attualmente è sotto il controllo israeliano, ma nella Città Santa convivono un po’ tutti, anche i cristiani. A fronte di tutto, bisogna imparare a convivere, ma finché non c’è giustizia, fraternità e rispetto degli altri, non ci sarà mai davvero la pace». Tra 2017 e 2018 ad accrescere l’instabilità è stata la decisione del presidente degli Stati Uniti Trump di trasferire la sede dell’ambasciata in Israele a Gerusalemme, riconoscimento implicito alle mire politiche israeliane sulla città.

Don Pedroli
Don Luca Pedroli

LE CHIESE Ora questi nuovi avvenimenti, senza precedenti nella storia d’Israele. Come cambiano le “carte” in Medio Oriente, alla luce di tali eventi? «Difficile dirlo, lo scopriremo, si può dire che il Medio Oriente e in particolare la terra d’Israele sia abituata a forti cambiamenti repentini: la situazione attuale sarà da leggere giorno dopo giorno. L’unica cosa che non cambia è la presenza continua delle chiese cristiane, soprattutto a Gerusalemme. Sono in contatto con alcuni cristiani a Gerusalemme e sono preoccupati, ma nella capitale si vive tranquillamente, perché la Città Santa è cara a tutti». Chiese che cercano di promuovere appunto la pace attraverso la giustizia. «Le chiese cristiane ultimamente stanno cercando insieme di aiutare il processo di dialogo: la comunità cristiane sono per composte quasi per la totalità da arabi e fanno parte d’Israele. Inoltre parole del cardinale Pizzaballa e degli altri patriarchi sono un accorato invito alla pace e alla risoluzione delle tensioni».

don Paolo Butta, Giuseppe Del Signore

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