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Giovani sempre più esposti ai cambiamenti, ma anche vittime di disagi. L’adolescenza è la fase della vita in cui si affrontano le prime sfide esistenziali e si va incontro a una metamorfosi, per questo è importante riconoscere i segnali di disagio.
IL FENOMENO «Il disagio giovanile è ben presente nella società, se non in aumento, anche grazie alla maggiore attenzione da parte di tutte le istituzioni – spiega Jessica Facheris, psicologa – Si tratta di un disagio che comprende una fascia ampia di minorenni, che riguarda problemi sia a livello emotivo sia di salute mentale, ma anche comportamentale». Una fase delicata, quanto importante, quella dell’adolescenza «in cui c’è ancora un’immaturità del cervello nel riuscire a gestire le emozioni». Una difficoltà che spinge sempre più giovani ad avere comportamenti a volte impulsivi.
Proprio il fatto che manca una componente di controllo sulla capacità di gestione delle emozioni porta anche ad avere degli agiti impulsivi – continua la psicologa – emozioni che possono essere qualcosa di soverchiante e angosciante.
SOCIAL In questo un ruolo importante lo rivestono «i social media, uno strumento a doppio taglio. Possono essere un ottimo mezzo di scambio di informazioni, però a volte possono essere fonte di imitazione di azioni benevole, ma anche di comportamenti preoccupanti». L’emulazione è legata proprio al concetto di crescita ed evoluzione della personalità. «L’adolescente tende molto a emulare quello che vede, che sia un atteggiamento, un modo di vestire o di porsi, proprio perché all’interno di questa fascia d’età il volersi uniformare ai pari è importantissimo. Accade anche per quanto riguarda l’emulazione di atteggiamenti non consoni e i social tendono ad amplificare questo fattore».
VIOLENZA Gli atteggiamenti aggressivi possono essere il risultato anche di un disagio interiore più profondo. «Influisce il contesto personale del ragazzo, che riguarda il contesto più intimo delle relazioni che gli gravitano attorno, come quelle intime, familiari e amicali. In questo incide anche l’esempio della famiglia, di come vengono gestite le emozioni, eventi stressanti e frustranti. La famiglia è la prima palestra in cui l’individuo impara a gestire sentimenti ed emozioni». Per questo «la famiglia deve imparare a dialogare con i propri ragazzi, non solo chiedergli “com’è andata a scuola”, ma chiedergli come stanno, quali sono le preoccupazioni». E se il ragazzo non vuole aprirsi? «Nessuna fretta, è bene far capire che siamo a conoscenza del suo disagio e lasciargli il suo tempo per aprirsi e fidarsi di noi».
Don Riccardo Campari: «E’ saltato il sistema educativo»
Anche la Diocesi si interroga sul tema del disagio giovanile dietro il tema “sicurezza” che tocca anche questo territorio: la cronaca della città di Vigevano da qualche anno vede il riproporsi di episodi di microcriminalità. Giovani (e a volte giovanissimi) che si rendono protagonisti di risse, piccoli furti e violenze che, oltre a essere reati, causano disagi anche ai residenti e in generale ai cittadini. «Sono saltati il rapporto tra giovani e adulti, il ritrovo in luoghi sicuri e protetti e così via».
UNIRE E FORMARE Don Riccardo Campari, responsabile scuola dell’Ufficio per la pastorale giovanile, nella sua riflessione parte dallo stare insieme e dalla formazione: «Il sistema educativo e aggregativo è saltato e non è più paragonabile a ciò che la storia ci consegna. La posizione della Chiesa, come Diocesi e come comunità, è sicuramente che innanzitutto vediamo un disagio dietro questi episodi di microcriminalità». Il disagio che provano i giovani, poi, non è indipendente da quello che provano gli adulti. Secondo don Campari
questi problemi non nascono dal nulla, ma sono frutto di una società incapace di educare: non esiste una responsabilità solo del mondo giovanile (anzi, se mai loro ne hanno meno perché trovano qualcosa che qualcun altro gli ha lasciato).
LAVORARE INSIEME Si avverte anche l’esigenza di «metterci d’accordo» tra le diverse realtà che hanno l’obiettivo comune di affrontare il disagio giovanile. «Scuola, Chiesa e Stato devono necessariamente mettersi al tavolo, evitare di pensare ognuno al suo orticello, e agire assieme per il bene vero della comunità e dei suoi giovani. Sicuramente è importante avere anche una politica capace di esprimere un’analisi dell’oggi, fornendo anche delle soluzioni innovative che, perché no, arrivano proprio dai giovani stessi. È importante quindi avere anche una generazione nuova che si occupi dei problemi».
COSA SI FA La Diocesi non resta con le mani in mano. «Stiamo mettendo in campo – conclude don Campari – progetti che hanno gli oratori come prima linea rispetto alla necessità di rendere i giovani protagonisti della loro vita. A questo proposito stiamo mettendo in campo un lavoro con le scuole, atto a creare una rete, che possa trovare il modo di dare una risposta a questi problemi che sia anche sociale. Il progetto di chiama proprio “Giovani protagonisti” e vuole sfruttare gli spazi che abbiamo per far ritrovare a questi ragazzi una meta, la cui mancanza è la causa vera di tutto il disagio che ne consegue».
a cura di Rz, Ec.