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Casa e reddito minimo. Caritas non ha dubbi a indicare queste come le due aree che necessitano di interventi immediati; per le politiche abitative si rientra appieno nella “cronicità”, mentre dopo l’esperienza del Reddito di cittadinanza si è intrapresa una strada in salita.
ABITARE La questione abitativa «è ormai da considerarsi un elemento strutturale del nostro sistema economico, sociale e anche urbanistico» e del resto il 22.7% di chi si rivolge a Caritas ha problemi legati alla dimensione abitativa. Il tema abitativo nel medio termine sarà influenzato da fattori quali declino demografico, spopolamento aree interne (che interessa anche la Lomellina), maggiore difficoltà di accesso al credito («le famiglie con poche risorse economiche […] sono costrette a indebitarsi su importi quasi coincidenti con quello del valore dell’immobile») e il «passaggio generazionale della ricchezza; entro il 2028 180 miliardi passeranno alle generazioni più giovani, cifra che salirà a 300 miliardi entro il 2033». Un’occasione irripetibile perché «la gestione di questo epocale trasferimento di ricchezza determinerà un aumento una riduzione delle disuguaglianze». Per andare nella seconda direzione servirà una forte volontà politica per attuare dei meccanismi redistributivi ovvero introdurre una forte imposta di successione, che oggi in Italia ha un’aliquota che varia dal 4% all’8% (tra le più basse al mondo) e in Francia può raggiungere il 45%.
Per rimanere nell’ambito delle politiche abitative è urgente introdurre una «”cassetta degli attrezzi”» tramite riforma dell’edilizia popolare, delle agenzie per la casa e dei fondi salva casa, ma anche uso diverso dei «beni comuni urbani», come proposto da Banca Etica.
SOSTENERE Quanto alle misure del sostegno al reddito, il “Rapporto povertà” di Caritas boccia il passaggio dal Rdc a Assegno di inclusione e Supporto per la formazione e il lavoro, iniziato a gennaio 2024 e ancora in corso: «Il cambiamento ha comportato la sostituzione di una misura universale, cioè per tutte le persone povere, con due misure specifiche per diverse categorie di persone in condizione di povertà, generando non poche criticità». Criticità che le nuove misure presentavano «già sulla carta», che avevano sollevato «unanimi perplessità tra gli studiosi» perché si prevede un trattamento «meno equo di prima», che allontanano l’Italia dal resto dell’Ue, «unico Stato membro senza uno schema di reddito minimo universalistico», e che i numeri, rilevati da Inps per i primi sei mesi del 2024, confermano.
Innanzitutto per ottenere l’Adi “non basta” essere poveri, ci vogliono altri requisiti (presenza di minori, persone con disabilità, over60 non autosufficienti, ecc, alcune di difficile certificazione), cosicché si è andato restringendo il bacino di quanti possono richiederlo, scesi da 1.36 milioni dell’ultimo anno di Rdc ai 698mila del primo semestre 2024; di quanti percepivano il primo solo il 61.5% è transitato nell’Adi, con «una quota significativa di stranieri» esclusi, mentre per il Sfl «oltre 212mila nuclei familiari idonei non hanno presentato alcuna domanda (più del 50% del totale)».
Giuseppe Del Signore