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A cosa servono tasse e imposte? Quanto ne sanno gli italiani di educazione finanziaria? Due domande che portano in direzioni diverse, ma che tutto sommato si tengono, perché da una parte se da un lato i prelievi fiscali sono il fumo negli occhi di molti, dall’altro lato conoscenze e competenze adeguate aiuterebbero, se non ad amarli, quanto meno a capirli.
CHI PAGA Facendo riferimento alle dichiarazioni dei redditi del 2022 (riferite al 2021) il 13.9% dei contribuenti ha versato il 62.5% delle imposte sui redditi prodotti da persone fisiche a fronte di quasi un italiano su due (compresi gli under16 che non rientrano nella platea dei contribuenti potenziali) che non dà alcun “contributo”. A generare la quota più grande del reddito fiscale c’è chi guadagna più di 35mila euro ai fini Irpef, che con Ires e Irap costituisce una delle principali imposte italiane ovvero quei prelievi di denaro che finanziano la spesa pubblica per i servizi essenziali (sanità, istruzione, sicurezza, pubblica amministrazione), mentre le tasse sono versate in cambio di un servizio specifico, il caso più semplice è quella sui rifiuti (Tari).
NEI COMUNI Grazie a quanto raccolto dall’erario lo Stato finanzia una parte consistente della spesa pubblica, ma cosa vuol dire a livello comunale? L’Araldo ha deciso di concentrare l’attenzione su Irpef, Imu e Tari (più altre voci minori quali fondi di solidarietà, imposte di soggiorno, diritti di affissione), che costituiscono in media il 23.5% delle entrate delle amministrazioni comunali (fonte Istat). Ad esempio l’addizionale Irpef, istituita nel 1998, ha prodotto un gettito crescente, tra il 2007 e il 2021 passato da 2.98 miliardi a 5.35. A Vigevano le entrate pro capite per imposte, tasse e proventi assimilati sono state pari a 451€ per un totale di circa 28 milioni, a Mortara di 453.3€ per 6.9 milioni, a Garlasco di 424.1€ per 4 milioni, a Cava Manara di 333.9€ per 2.2 milioni, a Mede di 261.6€ per 772mila. Nella città ducale nel decennio 2012-2021 la platea dei contribuenti è scesa di oltre mille unità, passando da 45903 a 44711 vigevanesi, di cui solo 42902 con un reddito imponibile, l’82.7% dei residenti. Perlopiù si tratta di lavoratori dipendenti o assimilati (24mila) con un reddito medio annuo di 22068€ o pensionati (16mila) con un reddito medio di 18555€. A Mortara il calo è stato di cento unità, i contribuenti sono l’82.4% del totale, perlopiù dipendenti (6mila, reddito medio annuo 21622€) e pensionati (4mila, 19644€), a Garlasco di una sessantina e sono l’85% del totale, anche qui in prevalenza dipendenti (3513, 22476€) e pensionati (3mila, 17690€), a Cava Manara sono aumentati di 252 unità, i dipendenti 2821 (24188€) e i pensionati 1900 (20597€), a Mede sono in calo di 429, i dipendenti stabili a 2288 (21411€) e i pensionati scesi a 1964 (17667€). A livello comunale altri redditi hanno un impatto minore: quello da fabbricati, da lavoro autonomo, di spettanza dell’imprenditore (contabilità ordinaria e semplificata), da partecipazione; tranne il primo danno luogo a un reddito pro capite medio superiore, ma quello complessivo è più basso perché coinvolgono una platea minore.
QUANTO Chi contribuisce quanto sa di tutto quello che riguarda l’educazione finanziaria? La Banca d’Italia conduce con cadenza triennale un’indagine a campione sull’alfabetizzazione finanziaria e le competenze associate; i risultati dell’ultima rilevazione sono stati presentati a luglio del 2023 e assegnano agli italiani un punteggio di 10.6 in una scala in ventesimi, più o meno a metà. Questo è frutto di quanto emerge dai tre assi presi in considerazione: le conoscenze (di concetti come inflazione, tasso d’interesse, tasso semplice e composto, diversificazione del rischio), i comportamenti (gestione finanziaria a breve e lungo termine, come fissare obiettivi, programmare risorse, puntualità nei pagamenti, capacità di risparmio), gli atteggiamenti (orientamento al risparmio, accortezza nell’uso del denaro). Per quanto riguarda le conoscenze si è passati da 3.9 nel 2020 al 3.7 attuale, nei comportamenti da 4.2 a 4.6, negli atteggiamenti da 2.0 a 2.3, il che si traduce in un leggero miglioramento generale, da 10.2 a 10.6. Per la prima volta nel 2023 si è prestato attenzione anche alla finanza digitale, con un punteggio finale di 4.4 su una scala in decimi. Gli assi sono i medesimi valutati in precedenza, per comprendere ad esempio la familiarità con l’uso della firma digitale, la consapevolezza di ciò che comporta diffondere dati personali in rete o che le reti Wi-Fi pubbliche non sono sicure, la frequenza con cui si modificano le password per la finanza personale e gli acquisti online, l’accortezza nella condivisione delle medesime. Un po’ a sorpresa il 30% degli intervistati condivide con gli amici la password dei propri conti di deposito e solo il 32% verifica la sicurezza dei siti internet prima di concludere una transazione.
GIOVANI Un’indagine ad hoc la Banca d’Italia la rivolge ai giovani under35. Oltre il 70% conosce la relazione rischio-rendimento, il 65% sa cos’è l’inflazione, il 63% la diversificazione del rischio, il 60% il tasso d’interesse, anche se circa il 50% pensa che tenere i risparmi sul conto corrente (tre su quattro ne possiedono uno) protegga dall’inflazione e il 15% di coloro che vivono in casa con i genitori non ha alcuna responsabilità nella gestione del denaro, neppure la “paghetta”. Solo il 31% è in grado di analizzare correttamente grafici su semplici fenomeni come la distribuzione del tasso di disoccupazione tra regioni. L’89% è attento alla sostenibilità della spesa corrente, il 77% al rispetto delle scadenze, ma solo la metà ritiene necessario fare piani per il futuro (il 43% accantona risparmi a fine mese). Considerando la popolazione complessiva, i punteggi più alti si trovano tra le persone che risiedono nelle regioni del Nord, tra chi ha tra 35 e 64 anni, tra gli uomini, tra chi ha il diploma o la laurea.
Giuseppe Del Signore