Come spesso accade il seme delle guerre germoglia sul terreno fertile di pessimi trattati. Hitler avrebbe avuto molte meno rivendicazioni da fare se il trattato di Versailles non avesse perseguito come obiettivo l’umiliazione della Prussia dopo la prima guerra mondiale,
allo stesso modo il governo russo avrebbe trovato meno spazio per il suo revanscismo più zarista che sovietico se l’Ucraina non fosse stata vittima di un secolo di leggerezze diplomatiche.
Con questo non si intende né giustificare l’aggressione di uno stato sovrano ai danni di un altro stato sovrano in violazione del diritto internazionale, che pone automaticamente Putin e i suoi collaboratori dalla parte del torto, né stabilire una relazione di causa-effetto diretta tra un fenomeno storico e l’altro, perché la storia è comunque sempre fatta dalle persone e dalle comunità e nessuno sviluppo è predeterminato. Semmai all’indagine storica interessa cogliere la specificità di quei percorsi affinché la diplomazia possa intrecciarli e comporli pacificamente.
LUOGO DEL CUORE L’Ucraina non è solo uno stato confinante agli occhi di Mosca, ma è il luogo in cui si colloca la nascita del popolo russo, avvenuta lungo il corso dei fiumi Dnepr e Don tra il sesto e il nono secolo, quando slavi e variaghi (vichinghi, ottimi navigatori fluviali oltre che marittimi) si incontrarono e, tra una razzia e l’altra, iniziarono a commerciare, conoscersi, innamorarsi fino a non distinguersi più tra loro. A coronamento di questo processo nell’882 venne fondata a Kiev la prima “Rus”, che comprendeva anche i territori di Novgorod e Moscovia, le quali in seguito al declino di questo primo regno – dovuto anche all’arrivo dei mongoli che, dopo aver saccheggiato Kiev, si stabilirono nella parte meridionale dell’attuale Ucraina fondando il khanato dell’Orda d’Oro, poi tributario dell’impero Ottomano da cui sarebbe stato sottomesso – sarebbero emersi come centri economici, politici e culturali della Russia moderna. Nel periodo che va dal XIV al XVIII secolo il territorio ucraino fu diviso all’interno di vari regni, oltre a quello russo – che costrinse cosacchi e ucraini a un processo di russificazione forzata, ad esempio limitando l’uso della lingua ucraina – anche Granducato di Lituania (poi confederazione di Polonia e Lituania), impero ottomano e asburgico.
IL SECOLO BREVE Terre contese, come la vicina Polonia, e protagoniste poco note agli occidentali di entrambi i conflitti mondiali, in cui furono al centro dello scontro tra Reich guglielmino e Russia zarista prima e tra Germania nazionalsocialista e Unione Sovietica poi, cosicché Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, a gennaio si è spinto ad affermare che «il centro dell’Europa in Mezzo è l’Ucraina… fissa lo storico Dominic Lieven:
La prima guerra mondiale si è combattuta per stabilire il destino dell’Ucraina
«Non sono bastati – prosegue – il secondo atto (1939-1945), la guerra fredda (1946-91) e i decenni successivi per sciogliere questo nodo. Oggi nessuno può escludere un terzo round». Nel periodo tra le due guerre il governo sovietico le aveva riconosciuto lo status di “Repubblica socialista” sia per la sua importanza strategica sia per la ritrosia del popolo ucraino a sottomettersi al dominio bolscevico, tanto che proprio in Ucraina e Polonia si era concentrato il grosso della resistenza all’avanzata dell’Armata rossa durante la guerra civile. Per “domarlo” Stalin sfruttò la carestia indotta dalla fallimentare politica agricola di collettivizzazione, causando milioni di morti per fame (tra 7 e 10 in tutta l’Urss), tanto che il governo ucraino ha chiesto che lo “Holodomor” sia riconosciuto come un genocidio a tutti gli effetti. Nel 1954 invece Kruscev avrebbe annesso alla Repubblica la Crimea, mentre al momento della dissoluzione dell’impero sovietico l’Ucraina sarebbe diventata indipendente, ma solo dopo una serrata trattativa con la Russia sul destino delle armi atomiche – se avesse mantenuto gli ordigni sul suo territorio sarebbe stata la terza potenza nucleare mondiale – e della base navale di Sebastopoli, mantenendo sempre lo sguardo dell’ingombrante vicino su di sé.
GEOGRAFIA Un’attenzione che non si esaurisce sul piano storico, perché lo sterminato territorio ucraino rappresenta un asset strategico di prima grandezza per la Russia, priva di barriere naturali se non la stessa distanza e fiumi quali il Dnepr e il Don a proteggerla da eventuali aggressioni. A un occhio occidentale può sembrare un capovolgimento rispetto a quanto temuto durante la guerra fredda, ma qualunque russo potrebbe obiettare che da Napoleone a Hitler è stata la Russia a essere invasa, non a invadere, e la storia produce cicatrici che continuano a dolere anche a distanza di secoli, oltre che percezioni con cui è necessario fare i conti. Al ruolo di “cuscinetto” che il governo russo le attribuisce si aggiunge la funzione fondamentale della Crimea, penisola nel mezzo del mar Nero che per la Russia rappresenta il punto d’accesso al mar Mediterraneo, sbocco sul mare “caldo” che da secoli è un pensiero dominante per i decisori russi, fossero al servizio dello zar o del Pcus, al punto da spingerli a combattere ieri per i Balcani, oggi per Siria e Libia.
DIPLOMAZIA Cosa c’entra tutto questo con la guerra attuale? I conflitti non iniziano mai quando si muove il primo carro armato, ma le vere cause si perdono in anni, a volte secoli, di incomprensioni e incidenti.
i è partiti con gli errori zaristi e sovietici, il primo sottomettere con la violenza un popolo che sì, nella parte galiziana mai stata nell’orbita russa sognava l’indipendenza e per raggiungerla non ha esitato a schierarsi con la Wehrmacht nel 1941, ma per un’altra parte si sentiva (si sente) altrettanto russo che ucraino, il secondo riconoscergli un’autonomia fittizia che poi è diventata reale e si è tradotta in una legittima aspirazione europeista da Jevromajdan in poi.
Si è andati avanti con la leggerezza di Unione Europea e Nato troppo prese dai paradigmi da “fine della storia” ed economicista per capire che un’espansione a est di entrambe sarebbe stata presa come una minaccia vitale da una Russia frastornata e ferita dal crollo dell’Urss, ma non disposta a recedere dal suo rango imperiale, tanto che Putin non ha esitato a sfruttare quella che gli è parsa come una finestra d’opportunità ovvero la congiunzione tra pandemia, transizione ecologica e inflazione. Tutto questo percorso non per giustificare una guerra ingiustificabile né per negare il diritto al popolo ucraino ad autoderminare le sue traiettorie, ma perché se si vuole che queste possano compiersi e che i cannoni tacciano in Ucraina occorre tornare alla diplomazia, che è vincente solo quando riesce ad abbracciare le ragioni di tutte le parti in causa, producendo un compromesso accettabile.
Giuseppe Del Signore