Nato nel 1935 a Vigevano inizia a lavorare a 13 anni come garzone da un calzolaio e come tagliatore. Nel 1958 apre il suo atelier personale a Vigevano: le sue scarpe piacciono, arrivano i primi clienti: da Tour, poi da Parigi. Inizia ad avere successo e lavora per ditte importanti. Nel 1962 conosce Elio Fiorucci e va in Inghilterra proprio quando scoppia la moda delle minigonne con Mary Quant e Biba. Lavora per queste stiliste e crede nella forza innovativa delle loro idee. Sono agli anni degli zatteroni ed è davvero il boom in tutto il mondo. Nel 1970 decide di aprire la sua azienda. Ha subito successo e decide di andare negli Stati Uniti dove apre uno show room a Central Park. La stampa lo ama, le sue scarpe piacciono e sono indossate dalle star. Ad aiutarlo chiama anche una pierre americana. Poi torna in Italia e anche qui ha successo con le scarpe con l’elastico. Apre la sua fabbrica la “Armando Pollini Design”che poi chiuderà nel 2003. Poco dopo si presenta al sindaco con il progetto sul Museo Internazionale della Calzatura. Questa in sintesi, solo una parte della movimentata vita di Armando Pollini, scomparso venerdì 18 giugno a 85 anni. E’ la scheda che l’Araldo fece nell’aprile del 2008 quando gli dedicò la pagina dell’intervista della settimana. Oltre ad essere un apprezzatissimo stilista e imprenditore calzaturiero, Pollini è stato anche un personaggio di primo piano nella storia dello sport cittadino, sia come atleta che come dirigente: specialista dei 400 ostacoli, ha vestito più volte la maglia azzurra negli anni ’60 e nei primi anni ’80 fu anche presidente del Vigevano Calcio, sfiorando più volte il ritorno in serie C. Tra le sue molteplici attività fu anche consigliere comunale, eletto come indipendente nelle liste della Democrazia Cristiana. Parlando alla nostra cronista dell’avventura straordinaria che ha vissuto ideando e concretizzando l’esperienza del Museo internazionale della calzatura confidava di aver vissuto «un’affascinante esperienza che ho saputo affrontare anche grazie al mio passato di imprenditore. E’ quel passato che mi ha insegnato che certe cose, e solo delle cose precise costano meno: il trucco è rappresentato dalla capacità di ‘venderle’ bene e farle apparire grandi e affascinanti».
E anche in quella occasione, con la mostra ‘Tacchi a spillo’, fece il botto. Parlando dell’inizio della sua carriera, Pollini raccontava all’Araldo di quegli indimenticabili anni di grande fermento. «Sono partito dal nulla – diceva – e sono stato a contatto con grandi personalità della moda e dello show business. Nel 1962 ho conosciuto Fiorucci e mi trovavo in Inghilterra dove scoppiò la moda di Mary Quant. Era davvero un altro mondo – prosegue – si poteva fare tutto anche perché c’era davvero poco. Ero elettrizzato dal fermento che c’era ovunque. Da Fiorucci ho appreso il grande coraggio di osare per le cose nelle quali credevo. Lui lo faceva con freddezza, senza fanatismi ed era molto riflessivo. Io ho cercato di apprendere da lui, soprattutto dal punto di vista strategico, ma caratterialmente eravamo molto distanti».
Alla domanda se Vigevano può continuare a credere ancora in se stessa, Pollini rispondeva così: «Certo. Anche se deve imparare a dimenticare i preconcetti. Voglio dire: non si può continuare a piangere sul fatto che i vigevanesi non fanno più scarpe: se il futuro è quello di insegnare ai cinesi a fare le scarpe, occorre concentrarsi su quello, sull’indotto, sulla ricerca, sui materiali. A Vigevano esiste un know-how notevole, allora deve essere sempre più pensata come una città di servizi e non di prodotto: una città capace di andare incontro alle esigenze della gente e in grado di rispondere. Solo così non si smette di suscitare interesse». Il suo funerale si è svolto lunedì in San Pietro Martire e c’è già chi sta pensando di dedicargli una sala proprio nel museo che lui ha creato.
Massimo Sala