L’Intervista / Ilaria Bonardi, le forme pure di un gioiello

Ilaria, creare gioielli per te non è solo un lavoro, ma una vera e propria passione. Quando ti sei avvicinata a questo mondo e com’è iniziato l’amore per l’arte orafa?

«Il mio percorso inizia esattamente dieci anni fa. Finite le superiori ho deciso di studiare decorazione all’Accademia delle Belle Arti di Brera e al terzo anno, per l’esame di plastica ornamentale, la professoressa ci ha detto che avremmo dovuto realizzare dei gioielli in cera. Invece di realizzare i soliti capitelli e stucchi, presenti oggigiorno anche nei negozi di bricolage, la professoressa ci ha portato cera e bisturi per dare vita alle nostre creazioni. Avevo realizzato dei gioielli un po’ brutti, ma da lì mi sono appassionata e non mi sono mai più fermata. Mi sarebbe infatti piaciuto frequentare dei master o corsi di laurea in arte orafa, ma erano davvero costosi. Per questa ragione, una volta presa la laurea triennale in decorazione, l’anno successivo mi sono iscritta al biennio specialistico di design del prodotto sempre a Brera e, nel frattempo, ho seguito alcuni corsi pratici presso la scuola orafa ambrosiana di Milano, il tutto lavorando nel tempo libero come baby-sitter per mantenermi gli studi. Una volta concluso il mio percorso di studi, ho lavorato come commessa in una grande gioielleria di corso Buenos Aires a Milano e poi ho lavorato come progettista in un ufficio che si occupava della vendita di pietre preziose e diamanti. Ho infine lavorato per due anni in una gioielleria milanese dove disegnavo e realizzavo gioielli su misura, ma non appena ho capito che avrei potuto aprire la mia attività, sei anni fa ho deciso di dare vita al mio laboratorio».

All’inizio condividevo lo spazio con mio papà, ma dal 2018 ho aperto il mio studio in via Dante a Vigevano.

Come si costruisce un gioiello?

«La tecnica principale è quella della fusione a cera persa. Si realizza un modello in cera sintetica fondibile, questo modello può essere realizzato a mano con differenti profilati in cera da cui esce un gioiello scultoreo. Da qui si ottiene un blocco di cera che si scolpisce finché non si ottiene il gioiello oppure si saldano fili o lastre con degli appositi strumenti. Per realizzare questo modello in cera è possibile prototiparlo anche con la stampante 3D, dipende dalla complessità del lavoro e dallo scarto. Lavorando con i metalli preziosi infatti bisogna sempre guardare alla resa, ma anche allo scarto che c’è. In questo lavoro nulla va perduto, nemmeno le polveri di scarto presenti sulle lime. D’altra parte, ci sono dei pezzi che realizzo a mano in cera con differenti cere oppure ci sono dei pezzi che disegno in 3D e poi vengono fusi nel metallo che preferisco. Diciamo che la tecnica è uguale, cambia solo la progettazione del modello in cera. Non appena il modello è stato creato, il gioiello poi viene fuso con la tecnica della cera persa. Si tratta di una tecnica tanto antica quanto precisa, basti pensare che è la stessa con cui venivano realizzati i bronzi di Riace. Viene costruito una sorta di alberello ai cui rami vengono attaccati dei modelli in cera. Questo alberello viene messo poi all’interno di un cilindro d’acciaio, al cui interno viene colato del gesso refrattario. Una volta indurito il cilindro con il gesso, viene messo dentro un forno, il quale viene portato a temperature elevate, in modo che la cera si perda. Si ottiene così il negativo, all’interno del quale poi verrà fuso il metallo. Della fusione se ne occupa una fonderia specializzata, io invece mi occupo di incidere, lucidare e incastonare pietre al modello grezzo».

Quali sono i materiali con cui preferisci lavorare?

«Diciamo che il mio metallo preferito da lavorare è senza ombra di dubbio l’oro giallo 18 carati perché si lavora che è una meraviglia. Tuttavia, per una questione di costi, prediligo l’argento la cui resa è comunque ottima. Tutte le collezioni di basso sono infatti di argento 925, materiale non dà allergie e non annerisce, ma su commissione realizzo anche creazioni in oro giallo, rosa e bianco 9 o 18 carati».

Qual è stato il gioiello più difficile da realizzare?

«Tra i gioielli più difficili c’è sicuramente qualche anello di fidanzamento. In particolare, mi ricordo di un anello di fidanzamento che mi è stato commissionato che doveva essere simile a un anello ritrovato durante gli scavi di Pompei e che il cliente aveva visto in un documentario. Siccome dall’immagine che mi era stata fornita non si vedeva bene a 360 gradi il gioiello, ho provato a cimentarmi e a fare delle ricerche su come potevano essere fatti i gioielli in epoca romana per poi arrivare al gioiello finito. Altri gioielli un po’ complicati da realizzare sono senza dubbio i bracciali con la chiusura rigida, per via del loro aggancio meccanica. Ma in generale, cerco sempre di realizzare creazioni semplici in modo che si esalti la bellezza della pietra. Un esempio: i dentini che tengono la pietra devono essere sottilissimi in modo che quest’ultima prenda luce da tutti i punti».

Questo passaggio è particolarmente complicato nella realizzazione di un gioiello. Ogni creazione deve infatti avere una struttura solida, ma che sia invisibile.

Qual è invece il tuo gioiello preferito?

«La mia collezione principale di gioielli si chiama “Città tra le dita” ed è una collezione di gioielli in argento che riportano la mappa di una determinata città, zona o quartiere che si vuole sempre indossare. A tal proposito il mio gioiello preferito è l’anello “Milano” perché è la creazione da dove è partito tutto. Ho disegnato il primo, poi ha cominciato a piacere anche alle mie amiche, che me ne hanno commissionati alcuni. Poi la voce si è sparsa e sono cominciate ad arrivare richieste da parte di conoscenti e poi e di persone sconosciute. Tutto questo mi ha poi spinto a buttarmi e ad aprire la mia attività di creazioni artigianali, decisione di cui sono orgogliosissima. L’anello “Milano” è in assoluto il mio preferito, anche se in realtà l’anno scorso ho fatto un corso di smalti a freddo e quella è diventata la mia tecnica preferita di decorazione. Con questa tecnica decoro la collezione “Petali” che sono degli orecchini che traforo tutti a mano da una lastra, saldati e smaltati uno a uno. Quindi anche questa collezione è tra le mie preferite perché è come se avessi iniziato un nuovo percorso».

Da cosa trai ispirazione quando disegni e crei un gioiello?

«Credo che un gioiello debba essere portabile e non solo appariscente. Guardo sempre la purezza delle forme e la praticità e, nel corso del progetto creativo, cerco di trarre ispirazione da qualche libro di gioielli, o cercando da collezioni di alta gioielleria. Ma spesso e volentieri l’ispirazione può davvero venire dal nulla, anche guardando un semplice fiore. In generale quando un cliente mi commissiona qualcosa cerco sempre di ascoltare al 100% la sua richiesta, pur mettendoci il mio stile».

Hai partecipato a delle esposizioni nella tua carriera?

«Sì, ho partecipato a tre di esposizioni, più nello specifico, due un paio di anni fa e una lo scorso anno. Esposizioni che avevano organizzato rispettivamente il Politecnico di Milano, in occasione della Milan Fashion Week, e l’Omi, una fiera di settore a sempre nel capoluogo lombardo. La prima volta ho esposto una coppia di orecchini, mentre la seconda volta l’anello “Scintillio”, ovvero un anello con un nodo marinaro e un piccolo diamantino sul gambo. L’ultima volta invece ho esposto gli orecchini “Marea”. Nel corso di questi anni ho anche aperto alcuni temporary shop a Milano e Verona; mentre una piccolissima parte dei miei gioielli è in vendita alla Rinascente di Firenze, per me una grande soddisfazione.

Hai progetti per il futuro?

«Sono in cantiere una nuova “Città tra le dita”, che ho realizzato poco prima di partorire e che uscirà a Natale. A settembre invece sono sei anni di attività e mi piacerebbe realizzare un gioiello speciale proprio questo anniversario per me molto importante. Altri progetti per il futuro? Più avanti vorrò sicuramente rinnovare il mio sito internet dove già ora è attivo uno shop online per acquistare le mie collezioni, ma che mi piacerebbe rinnovare».

Rossana Zorzato

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