L’intervista / Roberto Casati, un soffio d’anima nelle parole

Roberto Casati è nato a Vigevano il 27 aprile del 1958. Dopo gli studi (licenza media, seguita da corsi professionali che nella seconda metà degli anni ’70 cominciavano a parlare di quella che sarebbe stata l’informatica, ai tempi chiamata semplicemente elaborazione dati) ha intrapreso la professione di informatico e dal 1990 è titolare di una società che sviluppa e assiste software gestionale di Zucchetti (la più grande azienda del settore in Italia). La sua passione però è la poesia: l’inizio della sua attività letteraria coincide con la data dello sbarco sulla luna, con un diario del viaggio dell’Apollo verso il satellite con sbarco e ritorno sulla Terra con ammaraggio nell’Oceano Pacifico. Sposato con Anna Maria, ha una figlia, Alessandra, laureata in Giurisprudenza.

Come e quando è nata la tua passione per la scrittura poetica?

«L’interesse per la poesia direi che mi è sempre stata nell’anima, dai 14-15 anni ho cominciato a leggere poesia, con i primi tentativi di scrittura. Ho continuato a scrivere e già prima della maggiore età ho scritto la mia prima raccolta con testi infarciti delle letture che accompagnavano le mie giornate in quegli anni, i libri di Pablo Neruda».

Cosa è per te la poesia?

«È un modo per esprimere tutto quello che il cuore sente, è il mio modo di rapportarmi con il mondo, con chi mi sta accanto, è l’essenza che raccoglie parole e le trasforma mettendoci dentro un soffio d’anima. La scrittura poetica per me è atto che partendo dall’ispirazione (uno sguardo, un evento, una frase letta, un sentimento che prende il sopravvento) richiede poi un rituale fatto di applicazione, ricerca, lavoro di approfondimento, definizione, ricerca del verso e nel verso delle singole parole. A volte è anche fatica».

Quali sono i tuoi riferimenti letterari?

«Ho cominciato ad interessarmi di poesia ai tempi della scuola, studiando in prima battuta Prévert, che ho subito dopo abbandonato per impazzire (non esiste altro termine per definire l’interesse verso questi autori) per Pavese e Neruda. Sono autori molto differenti tra loro, ma che alla stessa maniera mi hanno riempito il cervello ed il cuore di emozioni».

Qual è il poeta a cui ti senti più vicino?

«Tra gli autori contemporanei Paolo Ruffilli è quello che più mi ha influenzato nel modo di scrivere che per me deve essere il più asciutto possibile. Sono d’accordo con lui quando dice che la poesia è l’arte del togliere, arrivando alla concisione senza per questo sconfinare in un anacronistico ermetismo».

Qual è il tuo poeta preferito?

«Sono diversi i poeti che mi piace leggere. Per primo sicuramente Paolo Ruffilli, grande poeta e anche narratore e saggista. Con lui Direttore editoriale della Edizioni del Leone ho pubblicato tre raccolte tra il 1988 e il 1999. Mi piace il suo stile poetico, mi piace il suo modo di scavare le parole lasciando al lettore solo l’essenziale. Quindi Umberto Piersanti, il poeta della natura, con il quale partecipo a Civitanova Marche a una Scuola di poesia, poi anche Antonio Spagnuolo e Ninnj Di Stefano, personaggi che hanno rappresentato la ricerca e la divulgazione poetica dagli anni ’70 a tutt’oggi».

Preferisci la poesia italiana o straniera?

«Sto leggendo molto la poesia italiana contemporanea, non solo dei grandi poeti, ma anche di autori semisconosciuti che molte volte pubblicano solo per gli addetti ai lavori raccolte che avrebbero tutto il diritto di essere conosciute da un pubblico più vasto. Ma qui bisognerebbe aprire un discorso che deve comprendere sia le case editrici che la distribuzione editoriale. Da troppo tempo vengono premiati personaggi per motivi che quasi mai hanno origini letterarie, ma solo di visibilità, come personaggi dello spettacolo e simili».

Proviamo a mettere le tue opere in ordine cronologico…

«Nel 1984 ho pubblicato il mio primo libro “Amore e disamore”, il cui inedito è stato premiato l’anno precedente da una giuria presieduta da Carlo Bo (Premio Spiaggia di velluto), critico di fama nazionale e che Giorgio Barberi Squarotti e Franco Piccinelli hanno considerato favorevolmente. Nel 1986 è uscita la raccolta “Roma e Alessandra”, il cui inedito è stato segnalato a Roma da una giuria presieduto da Maria Luisa Spaziani, avendo vari riconoscimenti. In seguito incoraggiato da Paolo Ruffilli, poeta e critico dei più conosciuti, direttore editoriale delle Edizioni del Leone, ho pubblicato la trilogia del viaggio composta da “Coincidenze massime” (1988), “Ipotesi di fuga” (1992) e “In navigazione per Capo Horn” (1999), che hanno ottenuto unanime consenso di critica. Negli anni 2000 ho pubblicato alcuni testi in antologie e della mia opera si è interessata soprattutto Guido Miano Editore, proponendomi nel 2016 una raccolta antologica delle mie opere con note critiche pubblicata con il titolo “Carte di viaggio”. E arriviamo a parlare di “Appunti e carte ritrovate” pubblicato da Guido Miano Editore. Questa raccolta è frutto di una ricerca di parole, frasi, pensieri scritti in più di 30 anni, tra il 1988 e il 2020. Ricerca fatta nel periodo di lockdown di marzo-aprile di quell’anno, quando

quella situazione ha colpito profondamente la nostra anima e mi ha spinto a fermarmi, riprendendo pensieri e parole, fino a renderle più profondamente grezze, forti da colpire il cuore».

In totale, quanti premi ha ricevuto questa tua ultima opera?

«Dal 2021 a oggi “Appunti e carte ritrovate” ha ottenuto un totale di 53 riconoscimenti. Nello stesso periodo poesie inedite hanno ottenuto un totale di 88 riconoscimenti».

Quali sono i tuoi premi più significativi?

«Ne nomino due iniziali che sono stati il volano per la mia carriera e gli ultimi tre per i quali sono stato premiato anche dall’Amministrazione Comunale. La segnalazione “Spiaggia di velluto” di Senigallia, 1983, con presidente di Giuria Carlo Bo per l’inedito di “Amore e disamore”; la segnalazione “Eugenio Montale”, Roma 1991, con presidente di Giuria Maria Luisa Spaziani per l’inedito di “Ipotesi di Fuga”; il primo posto “Tulliola – Renato Filippelli”, Roma 2023, con presidente di Giuria Dante Maffia per il libro “Appunti e carte ritrovate”; il primo posto “Giovanni Bertacchi”, Roma 2023, dalla Giuria internazionale per la poesia inedita “Il cielo sta per smettere” e il primo posto “Antica Pyrgos”, Lanuvio-Roma 2023, con presidente di Giuria Antonio Veneziani».

Lo scorso 28 novembre l’amministrazione comunale di Vigevano ti ha conferito un riconoscimento pubblico in aula consiliare. Ti aspettavi un omaggio simile dal Comune?

«Sinceramente non mi aspettavo un riconoscimento da parte di Vigevano, in quanto si dice che è difficile essere profeti nella propria patria. Devo dire che ne sono stato sì sorpreso, ma anche felice per aver potuto presentare al consiglio comunale presente per la successiva seduta la mia poesia vincitrice del “Premio Giovanni Bertacchi” 2023, la cui cerimonia di premiazione è avvenuta a Palazzo Giustiniani, sede del Presidente del Senato della Repubblica. Il titolo della poesia è “Il cielo sta per smettere” ed è stata scritta nel primo anniversario dell’invasione russa in Ucraina. Il riconoscimento avuto dall’amministrazione comunale lo considero un po’ un riconoscimento alla carriera, nel 40° anniversario dal primo premio conseguito, così come il prossimo anno sarà il 40° anniversario dalla prima pubblicazione e vedrà editata la mia nuova raccolta di cui posso qui svelare il titolo “Come armonie disattese”».

Quanto la poesia può influenzare la società?

«Io credo che la poesia possa essere l’anima più sincera della società, lo spirito più profondo della gente di buona volontà, interessata al bene comune. In una presentazione a una classe di una scuola superiore Umberto Piersanti, uno dei grandi poeti italiani del nostro tempo, ha testualmente detto: “La poesia prima di essere un valore civile, morale, sociologico, politico è un valore antropologico. Cioè se io leggo L’infinito, cos’è? Sono diventato migliore, ho imparato cose? No, ho solo approfondito il mio essere uomo, la mia capacità profonda di percepire, di essere. Una nazione senza poeti o con uno scarso interesse per la poesia è una nazione a cui manca molto. Per cui la poesia è un valore antropologico prima di tutto il resto. Tantissima poesia nella storia umana non ha un valore etico, non ha un valore sociale eppure ha un valore umano essenziale”».

Davide Zardo

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