Secondo una massima, a tutti palese, “I preti vengono dalle comunità”; già ma di cosa parliamo? È evidente che nella quarta domenica di Pasqua, dedicata alla preghiera e all’attenzione per tutte le vocazioni, la riflessione si impone sulla capacità generativa delle nostre realtà in riferimento alle scelte di vita cristiane al loro interno.
La Chiesa che è madre, quindi tipicamente donna, è il terreno che si dischiude per ricevere il buon seme del Risorto, perché esso germogli e porti frutto; quel frutto che il Signore ci invia a portare nel mondo. Tuttavia l’impoverimento di figure di sacerdoti dediti, di consacrate in trincea, di famiglie autenticamente cristiane all’interno delle nostre parrocchie ci interroga. Quale frutto sta dando l’azione pastorale della Chiesa in questo momento storico? Forse che tutto questo sfrenato attivismo in cui è caduta le stia facendo oscurare il suo compito generativo femminile? Forse che voglia sostituirsi al suo Signore e Maestro, che -maschio- tipicamente attivo prende l’iniziativa del rendere feconda, col dono dello Spirito la Chiesa sua sposa? Una sorta di generatività che, senza legame col Signore, si condanna a restare sterile?
Ben accade dunque il denso e breve ritaglio del Quarto vangelo che ci pungola a ritrovare il nostro ruolo di Chiesa-sposa, in attesa della voce del Signore, tutta protesa ad un ascolto che non è ozioso disinteresse di quanto la circonda, ma ricerca del senso degli eventi, paziente recettività della direzione che la voce di Gesù le fa ritrovare nello smarrimento generale. La familiarità con la voce del Signore diventa così necessaria nella babele delle lingue dove risuonano più che altro suoni bestiali, disarticolati, incomprensibili, al fine di recuperare il senso dell’esistere e l’orientamento da imprimere alla propria vita, che noi chiamiamo vocazione. La vocazione è passiva, la si riceve in dono, non ce la si inventa, la si percepisce e poi vi si corrisponde, come in risposta a Uno che chiama. Ma oggi c’è ancora questa apertura di fondo? Siamo dubbiosi.
Secondo il recente articolo del neuropsichiatra pavese Migliarese, la nostra generazione è permanentemente ossessionata da un “rumore di fondo” che impedisce di compiere scelte meditate e mediate. Come è possibile riconoscere il proprio posto nel mondo così perennemente stimolati? Quale desiderio di quella vita eterna che Egli offre, potrà mai essere coltivato? Quale certezza della vittoria di Dio sullo smarrimento che viviamo potrà mai convincerci, se tutti dicono tutto e il contrario di tutto? La necessaria meditazione di questi quattro versetti ci stimoli a coltivare pensieri giubilari, pensieri di speranza e azioni serie di cura delle giovani generazioni, destinatarie del futuro che Dio ha sognato per loro e per la Chiesa sua sposa.
don Andrea Padovan