8 settembre, XXIII Domenica del Tempo Ordinario

La guarigione del sordomuto operata da Gesù è inquadrata dall’evangelista Marco in un contesto ben preciso: Gesù si è spostato nel territorio della Decapoli. Una regione al di là del Giordano, fuori dal territorio di Israele, abitata da pagani, cioè da persone che si ritenevano escluse dalla salvezza. Gesù si è diretto in questa regione abbandonando la folla, che si era entusiasmata per il miracolo della moltiplicazione dei pani, ma era rimasta incapace di accogliere il suo insegnamento sul “Pane della vita”.

Ora Gesù decide di dedicarsi alla formazione del piccolo gruppo dei Discepoli che lo hanno seguito. Marco, introducendo così il racconto, ha lo scopo di precisare l’intenzione di Gesù: chiamare tutti a far parte del Regno di Dio, anche i pagani. Non è secondario ricordare che Marco ha scritto il suo Vangelo per comunità cristiane venute dal paganesimo greco-romano. Gesù stesso ha aperto le porte: la sua Chiesa dovrà essere “cattolica”, “aperta”, “universale”. Ci si può chiedere subito: Siamo anche noi aperti e accoglienti? O forse giudichiamo duramente coloro che hanno altri gusti culturali, altre maniere di pregare, altre tradizioni?

Lasciamo, alla nostra tavola o nelle nostre comunità, un po’ di spazio per lo straniero o chi è diverso?

Interessante è osservare come ha agito Gesù per guarire il sordomuto. Lo avevano portato perché imponesse le mani su di lui. Egli invece «Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua». Questi gesti sono “significativi”, non sono fatti per caso. Anzitutto Gesù si differenzia da coloro che operano prodigi e cercano il sensazionale, ciò che crea stupore. Egli si apparta, per dire che sta compiendo un evento trascendente, qualcosa di divino, che è “mistero”. Poi compie dei gesti corporali: tocca con le dita le orecchie, sputa e bagna con la saliva la lingua, alza gli occhi al cielo ed emette un sospiro. Gesti corporali per annunciare che Dio trasmette la sua grazia non “da lontano”, spiritualmente, ma entra in contatto con noi attraverso l’umanità del suo Figlio incarnato. Gesù non si è limitato, come in altri casi, a dire

«Va’… sii guarito», ma ricorre a una gestualità per comunicare con una persona che non poteva sentire suoni e parole, ma attraverso quei gesti poteva anch’egli comprendere e partecipare.

I gesti sono accompagnati da una parola: «Apriti!». Gesù non si rivolge agli organi malati, ma al paziente malato: «Sii aperto!». In Israele Gesù aveva trovato critiche, incomprensioni e minacce di morte. Molti restavano sordi alla sua predicazione. Qui, in terra straniera, tra i pagani, trova disponibilità all’ascolto, stima e ammirazione. Le prime comunità cristiane hanno visto nel sordomuto la figura di chi vive sordo e muto al discorso della fede. E nella guarigione il simbolo della trasformazione che avviene quando si accoglie la fede e si diventa discepoli attraverso il Battesimo. Ben presto la Chiesa ha introdotto, nella celebrazione del Battesimo, i gesti e le parole usate da Gesù per la guarigione del sordomuto. Attraverso il Battesimo è Gesù in persona che rende l’uomo capace di ascoltare la Parola di Dio e di annunciarla agli altri. Anche oggi le persone hanno bisogno di essere “aperte” da Gesù per accogliere il “mistero” del Regno e per avere il coraggio di parlare di Dio, di Gesù, del Vangelo.

don Piero Rossi Borghesano

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