Tra inganno e malvagità. Il nostro rapporto con Gesù spesso si risolve dentro un dualismo che ci consente di sfuggire la realtà. Eppure la liturgia della Domenica delle palme ci colloca drammaticamente dentro il senso di una provocazione che interroga tutto il nostro essere uomini e il senso della nostra personale ricerca della verità.
LA PASSIONE In questa Domenica delle palme la meteorologia non ha aiutato. La minaccia della pioggia non ha consentito la celebrazione della tradizionale processione, che si sarebbe dovuta muovere dalla chiesa di san Pietro martire verso la Cattedrale, rievocazione dell’ingresso festoso di Gesù a Gerusalemme. Ma la situazione contingente non ha svuotato il senso dell’azione liturgica, incentrata sulla narrazione della Passione nella recensione dell’evangelista Luca. Nella sua omelia il vescovo Maurizio Gervasoni ha comunque richiamato. «Quella di oggi è una delle più belle e importanti celebrazioni della Chiesa – ha detto – É un’azione scenica, nella quale tutti hanno una parte. Proprio come dovrebbe avvenire in tutte le nostre celebrazioni liturgiche: tutti, infatti, celebrano l’Eucaristia, tutti hanno un ruolo nella celebrazione».
L’ESPERIENZA La processione non si è potuta fare, ma, con la consueta resa drammatica restituita da un effettivo dialogo fra più soggetti recitanti, la comunità ha potuto partecipare alla rievocazione della passione e della morte di Gesù sulla croce. In questo caso nella narrazione dell’evangelista Luca che, come ha ricordato il Vescovo, è attento a raccontare i fatti cercando di far comprendere il loro significato profondo. E nella vicenda narrata c’è tutta la dimensione esperienziale dell’uomo, diviso tante volte tra equivoco e inganno, paura e malvagità. «Noi, davanti al mistero di Dio, davanti alla verità – ha detto mons. Gervasoni – siamo sciocchi o cattivi: non capiamo quello che conta davvero, ci lasciamo distrarre dalla paura o dall’emozione oppure lasciamo spazio alla malvagità». Proprio come nella vicenda della passione e morte di Gesù.
DI FRONTE La malvagità. Di fronte a Gesù – silenzioso nel processo, perché aveva già parlato, apertamente e pubblicamente, in precedenza, nel tempio e fuori – i potenti (Caifa, Pilato, Erode) sono evidentemente imbarazzati: Gesù non è colpevole di nulla. Come e perché condannarlo? E quindi se lo rimandano. Alla fine, Erode non può fare altro che insultare Gesù e rimandarlo a Ponzio Pilato. Nessuno, insomma, vuole assumersi la responsabilità di fare i conti con la realtà. Il loro «è un giudizio malvagio». Poi c’è chi non si rende conto, non sa, non comprende. «Invece gli altri – ha sottolineato il Vescovo – non sanno, non capiscono». É pensando a loro che, dalla croce, Gesù dice “Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno”. «Non capiscono, non sono cattivi – ha detto mons. Gervasoni – ma non capiscono. Come Pietro, che poi dirà di non conoscerlo, o gli Apostoli nell’orto degli ulivi, che invece di vegliare in preghiera con Gesù si addormenteranno». È la condizione dell’uomo, diviso tra distrazione e cattiveria. «Noi – ha commentato il Vescovo – ci comportiamo così: siamo distratti o malvagi. Gesù, invece, non è così». Il suo modo di stare dentro la realtà è un monito per ogni uomo:
«Gesù – ha concluso il Vescovo – si comporta come chi accoglie: perdona».
Carlo Ramella