“8×1000”, stare in ascolto per dare consigli e conforto

Un consiglio, una parola buona, un aiuto concreto per indirizzare l’utente verso una risoluzione del problema. Sono i Centri d’ascolto Caritas, strettamente collegati con la distribuzione delle borse alimentari mensili, e finanziati dall’8 per mille alla Chiesa cattolica.

DIETRO IL BISOGNO In quello di corso Torino, a Vigevano, gli operatori sono quattro, non tutti a tempo pieno: «Le persone chiamano segnalando la necessità – spiega la coordinatrice Michela Vennari – e si fissa un appuntamento per un colloquio, dove si ascolta il bisogno. E in quello più esplicito se ne colgono altri, dall’aiuto per pagare le bollette alla difficoltà di arrivare a fine mese con lo stipendio. A volte c’è il “consiglio della nonna”: fai così, fai cosà. Ma non è che tutte le risposte le abbia il centro d’ascolto. Per lo più si lavora in rete con il Comune, i servizi sociali: è un po’ come il cuore, che pompa sangue e lo diffonde a tutti gli altri organi». Le persone che si rivolgono a questo servizio sono tante, con bisogni che variano da caso a caso, e secondo i periodi dell’anno. Ad esempio in inverno può esserci più difficoltà per pagare le spese di riscaldamento. Il bisogno più diffuso? «Difficile dirlo, perché dietro la richiesta spesso c’è un bisogno “altro”, una difficoltà a gestire le finanze, magari una differenza culturale: e non posso dare una risposta diversa dalla mia cultura». Cosa bisogna fare per diventare operatori del Centro di ascolto? Bisogna frequentare un corso? Sono richieste caratteristiche particolari? «Noi siamo educatori, bisogna semplicemente avere empatia, capacità di ascoltare gli altri: ti spogli di te stesso per aprirti e ascoltare completamente l’altro. Io sono in Caritas da tantissimi anni, ma lavoro al centro d’ascolto da poco».

SENZA DIVISA Quali storie colpiscono maggiormente, tra le persone che si sono rivolte al centro? «C’era una signora che aveva esposto un bisogno alimentare per tutta la famiglia, dato che lavorava solo il marito, e con un contratto a tempo determinato. Poi è venuto fuori che uno dei due figli aveva iniziato a giocare a calcio, ma la mamma gli aveva fatto saltare gli allenamenti perché non c’erano i soldi per comprare la borsa e la divisa. Giocare senza i colori della squadra sarebbe stato diverso, umiliante. Così la Caritas gli ha dato i soldi per la divisa. Come dicevo prima, a volte ci sono altri bisogni che si nascondono dietro quello principale. Poi ricordo una coppia che abbiamo ascoltato scegliendoli insieme per un percorso, ma accogliendoli in due strutture diverse. Adesso sono di nuovo riunite, hanno trovato lavoro e una casa. Infine mi piace citare l’esempio di una persona che restando anonima ha voluto aiutare una famiglia con una donazione per i buoni alimentari, la mensa scolastica per i ragazzi, la farmacia e altre necessità che inizialmente prevedevano un approccio assistenzialista». Perché si decide di operare all’interno di un Centro di ascolto? «Credo sia proprio una scelta di vita, una testimonianza di fede, anche per gli altri che lavorano con me. Ho sempre sentito una ricerca per questa attività, anche se ho studiato ragioneria: sentivo la necessità di lavorare in ambito educativo, per essere in continuità con me stessa. Ho imparato a non aver paura di spendermi per gli altri. Quello che ti torna indietro è sempre più di quello che dai».

Davide Zardo

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