Pianzola, prete d’altri tempi

La domanda è legittima. I tempi in cui visse ed operò sono effettivamente altri rispetto ai nostri. Non è così ovvio confrontarli: società, cultura e Chiesa vivono in un contesto storico definibile come un vero cambiamento d’epoca. Eppure anche quei tempi parlano ancora ai nostri giorni e possono dire parole vere non consunte dal tempo, parole ricche di vita e di senso; parole che hanno plasmato figure eccellenti di uomini, di donne, di santi: figure di credenti che, nelle fragili sabbie del tempo che passa, hanno lasciato orme che non passano, indistruttibili. Tra queste figure autentiche può certamente essere collocata anche quella del beato Francesco Pianzola.

CRISTO AL CENTRO A noi preti in particolare la sua vita parla ancora: parla la sua singolare esperienza sacerdotale tutta consumata nel donarsi alla missione dentro la chiesa della nostra terra, e non solo. Nessun dubbio: l’involucro è datato; parole e immagini, simboli e forme espressive nonché metodi pastorali sono di quel tempo; non, invece, il nocciolo profondo il quale può e deve essere riscoperto e tradotto nell’oggi che stiamo attraversando. Alla radice del suo essere prete emerge una spiritualità fortemente cristocentrica. Solo la fede radicata in Cristo ha dato fondamento al suo farsi discepolo e servo totalmente consacrato alla missione. Questa la sua identità programmatica: Sono per te prete, ostia, o Gesù: dammi anime e nulla più. Essere prete è essere “ostia”, vita offerta, consumata perché altri, le anime, possano incontrare e ricevere Colui che è la Vita.

IN PERIFERIA Solo per Gesù e a causa di Gesù, un prete può essere prete, può farsi dono nella totalità della vita, non professionista a tempo. Non aspettando occasioni per fare grandi opere, ma nella concretezza e nella fatica di ogni giorno, negli spazi e nei tempi della quotidianità. Anche nei momenti della sofferenza più amara, il B. Pianzola ha fatto germogliare, crescere e maturare quella specifica santità presbiterale e missionaria che, ora, la Chiesa ha ufficialmente riconosciuta. Solo dal costante sguardo verso il Crocifisso ha saputo raccogliere quel sitio che lo ha condotto dentro quelle che oggi chiamiamo “periferie esistenziali”, eredità aggiornata dei poveri e dei piccoli presenti nei cascinali e nelle soffitte di allora. Il beato Pianzola è una figura incompiuta. Per questo, soprattutto a noi preti, insieme con tutta la comunità “pianzolina”, spetta la responsabilità di far sì che colui che, nel beato Pianzola e nella sua famiglia religiosa ha iniziato quest’opera buona, la porti a compimento (cf. Fil. 1, 6), pur dentro i nostri fragili «vasi di creta» (2Cor. 4, 7), la grazia di Cristo illuminerà anche noi e ci sosterrà nel metterci al fianco e accompagnare, come ha fatto lui, uomini, donne, giovani e famiglie del nostro tempo che hanno bisogno di ritrovare una strada smarrita, rianimare una speranza spenta, sperimentare gioia nella fatica di attendere un nuovo futuro, convinti che, come affermato da Steve Jobs, «i giorni che ci stanno davanti sono migliori di quelli che ci lasciamo alle spalle».

don Luigi Cacciabue

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