Il 15 agosto del 2021, dopo quasi vent’anni di guerra e successiva occupazione, gli Stati Uniti si ritiravano precipitosamente dall’Afghanistan (prima incrinatura in politica estera della presidenza Biden). Mentre gli ultimi aerei partivano per non più ritornare, migliaia di famiglie afghane che avevano creduto nel segno di un paese se non democratico almeno diverso si affollavano all’aeroporto per strappare un visto o per consegnare a diplomatici e militari un figlio o una figlia, nella speranza di sottrarli alla vita nel “nuovo” Afghanistan:
quello segnato dal ritorno del regime dei Talebani, che era stato abbattuto nel 2001 e che da tre anni è ritornato al potere. Marco Clementi insegna Relazioni internazionali all’Università degli studi di Pavia; professor Clementi, qual è la situazione attuale in un paese che è stato definito “il più discriminatorio al mondo”?
«Dall’agosto 2021 l’Afghanistan è governato dai Talebani che hanno instaurato un governo che opera senza delle relazioni diplomatiche ufficiali. Si tratta di un governo autoritario che vieta il diritto al dissenso e l’opposizione politica».
Il paese è famigerato per la continua limitazione delle libertà delle donne.
«Le donne e le ragazze afghane sono escluse dall’istruzione secondaria e universitaria e possono lavorare solo in settori molto limitati, come l’istruzione primaria o alcune specifiche funzioni della professione sanitaria. La loro libertà di movimento è severamente limitata sia al di fuori dei centri urbani sia al loro interno, essendo loro vietato di frequentare aree ricreative, parchi e bagni pubblici. Le donne sono anche escluse da qualsiasi ruolo decisionale e non possono formare associazioni indipendenti o partecipare alla vita politica».
La presa del potere da parte dell’esercito Talebano è avvenuta anche a seguito della ritirata delle truppe statunitensi e della coalizione Nato.
«E’ difficile pensare che i Talebani avrebbero potuto conquistare il potere senza la ritirata delle forze militari americane e il disimpegno della comunità internazionale anche perché, tre anni dopo la loro ascesa al potere, il loro controllo del territorio è ancora minacciato da una pluralità di forze».
Da quella ritirata e dalla riconquista afghana si è consolidato un governo che, anche e soprattutto a causa delle sanzioni a cui è soggetto, ha pochissimi rapporti con la diplomazia atlantica ed europea.
«Il governo talebano è isolato rispetto all’Europa e agli Stati Uniti, che hanno adottato una politica di sanzioni verso i Talebani, di cui non riconoscono l’autorità, come pressione per ottenere un maggiore rispetto dei diritti umani nel paese. Nonostante le sanzioni i Paesi europei e gli Stati Uniti hanno continuato a fornire assistenza umanitaria per alleviare la grave crisi alimentare e sanitaria del paese, interagendo con il regime talebano per rendere il più efficace possibile la consegna degli aiuti alla popolazione».
Davanti a questi rapporti limitati, c’è anche una normalizzazione, anche se limitata, di alcune relazioni politiche ed economiche.
«La stabilità politica, il controllo dei flussi migratori e il contenimento del radicalismo islamico. In questi elementi assistiamo a una normalizzazione dei rapporti con gli attori che hanno in campo degli interessi specifici a livello regionale (come Cina, Russia, Pakistan, Uzbekistan ma anche paesi del golfo)».
L’Afghanistan infatti è tutt’altro che un paese “monolitico”: si possono osservare parecchie peculiarità territoriali.
«Si tratta di un mosaico di gruppi etnici: la maggioranza pashtun, concentrata nel sud e sud-est; i tagiki nel nord-est; gli hazara, prevalentemente sciiti, nelle regioni centrali; e gli uzbeki nel nord. Questa frammentazione etnica è alla base di tensioni storiche e ha indebolito il controllo centralizzato del paese, divenendo un fattore che incentiva il coinvolgimento nelle dinamiche interne dei paesi vicini».
Edoardo Casati