L’epidemia silenziosa dei disturbi alimentari colpisce sempre più persone, soprattutto i più giovani. Una patologia che vede non solo l’alterazione di se stessi e un rapporto sbagliato con il cibo, ma che ha le sue cause in più fattori collegati tra loro.
COSA SONO «I disturbi del comportamento alimentare (Dca) sono malattie complesse che coinvolgono sia fattori biologici sia psicologici – spiega la dottoressa Alessandra Esposito, biologa nutrizionista – e si manifestano attraverso comportamenti alimentari disfunzionali e preoccupazioni eccessive nei confronti del peso e della forma corporea». Si tratta più nello specifico di patologie come anoressia nervosa, disturbo evitante-restrittivo dell’assunzione di cibo, “binge-eating” (assunzione compulsiva di cibo), bulimia nervosa, picacismo e disturbo da ruminazione. Tutte forme di Dca descritte nella quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il DSM-5.
FATTORI A contribuire allo sviluppo di questi disturbi non ci sono solo cause psicologiche, ma anche altri fattori. «I fattori che contribuiscono allo sviluppo dei Dca sono molto complessi – continua Esposito – e includono molti fattori biologici. Tra questi, alterazioni del funzionamento di alcune aree del cervello e modifiche nei livelli dei neurotrasmettitori». Un contributo importante viene ricoperto soprattutto da fattori psicologici.
Depressione, bassa autostima, ansia ed esperienze traumatiche, come lutti o abusi, hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo di questi disturbi.
APPROCCIO Essendo quindi patologie influenzate da cause multifattoriali, è quindi necessario un tipo di approccio particolare. «Per andare incontro a questi problemi – continua la biologa nutrizionista – è fondamentale un approccio multidisciplinare. Qui diversi professionisti lavorano insieme per aiutare nel modo più completo la persona». Un lavoro che quindi non può essere messo in atto dalla sola figura del biologo nutrizionista, ma che vede una vera e propria rete con un team sanitario. «Il fine della mia figura è quello di portare la persona a fare pace con il cibo, a nutrirsi in modo adeguato e a imparare ad ascoltare i segnali che l’organismo manda. Tuttavia il nutrizionista non può lavorare in esclusività, ma deve strutturare un lavoro di gruppo con psichiatra, psicologo, medico di base, endocrinologo ed eventualmente altri professionisti, in base alla situazione specifica».
EDUCAZIONE Su questo gioca un ruolo fondamentale un buon rapporto con il cibo. «Una sana e rispettosa educazione alimentare dovrebbe essere trasmessa di generazione in generazione – conclude Esposito – a partire dalla scuola e dalla prima infanzia. Si tende a pensare che educazione alimentare o dieta significhino privazione, ma non è nulla di più sbagliato. Il loro vero significato è equilibrio e benessere».
Rossana Zorzato