È questo un fatto che veniva raccontato a noi bambini nel periodo del Carnevale… La neve era caduta abbondante. I filari d’alberi che dal Cimitero andavano verso la Bella Vista di Vigevano formavano una muraglia bianca, interrotta solo dalla gran mole delle cascine Tocca e Tocchetta. Tutto portava ad una sera di quiete. Invece, una compagnia di giovanotti stava discutendo in una calda osteria come poter ben festeggiare l’imminente Carnuàl-Carnevale.
I quattrini erano pochi e la fame molta, nell’immediato primo dopoguerra. E si sa come facesse presa la prospettiva di un bel maiale pasciuto o “pursè in gràsa”, soprattutto nella visione arrosto e dintorni. Dopotutto alla cascina “dra Tòca” c’era un grosso allevamento di suini; uno più, uno meno, neanche se ne sarebbero accorti, almeno tra loro; e si sperava neanche tra i proprietari. Sì, perché il progetto dell’allegra brigata era la sottrazione furtiva di un bel maiale. A Carnevale, si sa, ogni scherzo vale: quindi bando agli scrupoli, se ce ne fossero stati! I miei lettori sanno però che la vita non è tutta carnevale. E mentre quelli formulavano progetti giocosi, altri sopportavano il dramma della natura umana. Infatti, alla cascina Tocchetta, la nonna capo-famiglia, ossia “r’ar§ùra o reggitora”, era alla fine dei suoi lunghissimi anni di vita, attorniata da uno stuolo di figli, nipoti e pronipoti, e assistita, con i conforti di santa religione, dal prete del vicino ospedale, che le mie fonti dicono “al prév Ultranì(n)”.
I miei lettori sanno anche come le vicende umane si incrocino. Ed ecco i fatti. A sera, la neve tornava abbondante a cadere. Un manipolo di giovani metteva in atto il progetto suddetto. Uno si sistemava sopra un albero della strada di fronte alla cascina Tocca, per far da palo, da vedetta; gli altri penetravano nel porcile per arraffare un soggetto da spiedo. Intanto, nella adiacente Tocchetta, l’anziano prete aveva terminato il suo pio ufficio e lasciava la casa in compagnia di un garzone della cascina che gli faceva lume. Raggiunta la strada, il fondo ghiacciato, la tormenta in atto, il lungo tratto di strada lo persuadevano a salire in groppa al robusto garzone ben aduso a pesi maggiori. Il garzone procedeva cauto, ma deciso. La vedetta, intanto, nel veder sopraggiungere tanto peso, credette fossero gli amici con il bottino in spalla, ed entusiasta gridò: «l’è magr ò gras?» è magro o grasso il maiale sottratto?. Al che, il nostro garzone, con una gran fifa, pensando a voci dell’aldilà (il Cimitero era proprio vicino), esclamò a gran voce: «O magro o grasso, come è lo lascio», che in vigevanese suona: «O magr’ò gras coma ‘l l’è ‘l lass». Scaraventò il prete su un gran mucchio di neve e guadagnò a perdifiato la porta di casa. C’è trambusto, incredulità, si accendono le lucerne, esce gente. I giovanotti del carnevale si credono scoperti e fuggono in tumulto. Al ladro, al ladro. È un via vai di gente. Finalmente, dopo tanto strepito, si riesce a chiarire l’equivoco, si capiscono i fatti, tutto è ricomposto. La storia vuole che anche la nonnina riprendesse a star bene e che al “prév Ultranì(n)” toccasse il titolo di canonico.
Marco Bianchi