Storie di pilastri invisibili, i caregiver

Anteporre il benessere di un familiare malato al proprio. Un bivio difficile e doloroso che molti caregiver sono costretti a prendere diventando un pilastro invisibile per i loro cari, spesso sacrificando la loro vita.

QUOTIDIANITÀ «Mia mamma è il mio primo pensiero la mattina e l’ultimo prima di addormentarmi – racconta Stefania Cardinali, 55 anni figlia e caregiver di sua mamma Mariarosa, da tempo colpita da una forma grave di demenza – Ogni giorno è un copione che si ripete, quindi la mattina la aiuto ad alzarsi, andare in bagno, la vesto e poi le preparo la colazione e le medicine». Decadimento cognitivo che, piano piano, ha spento la luce di Mariarosa, mettendo in condizione la figlia di essere una presenza indispensabile per lei. «Le strutture assistenziali sono molto costose – aggiunge Stefania – non lavorando posso fornirle assistenza, grazie anche al supporto di mia sorella e di una Oss che mi aiuta qualche giorno a settimana. È un grande sacrificio e spesso mi sento sola perché vivo una vita in simbiosi con lei, per cui è difficile stare in contatto con altre persone. Ti ritrovi in una situazione in cui la tua vita viene messa in secondo piano per il suo unico bene». Non solo uno stravolgimento quotidiano, ma soprattutto psicologico.

Emotivamente è un pugno nello stomaco – racconta – è una vera sofferenza veder spegnersi lentamente una persona che è sempre stata il tuo punto di riferimento. Ora tutto si è capovolto.

DATI Stando al rapporto Cnel “Il valore sociale del caregiver”, in Italia sono oltre 7 milioni le persone impegnate nella cura di un familiare anziano o con disabilità, dato che sfiora gli 8 milioni se si aggiungono tutti quegli assistenti familiari che prestano aiuto con compenso. Un valore sociale, quello del caregiver, che impegna soprattutto la fascia femminile della popolazione tanto che, secondo le analisi dell’Eige, «in Italia la percentuale di donne che svolgono il ruolo di caregiver (24.9%) è superiore a quella degli uomini (21.8%)». Dato che di conseguenza non fa che aggravare il gap occupazionale. «Il divario di genere si riflette nella percentuale di donne (38%) e uomini (34%) attivi – si legge nello studio – che faticano a conciliare il lavoro con responsabilità di caregiving». Quello del caregiver può essere considerato come un lavoro a tutti gli effetti:

Facendo riferimento al totale degli assistenti familiari, il 49.3% presta assistenza per meno di 10 ore a settimana, il 20% fra le 10 e le 20 ore a settimana, mentre il 26.9% per più di 20 ore.

SOSTEGNO Un impegno costante per cui ancora non esiste un sostegno economico nazionale continuativo, anche se comunque sono previste alcune disposizioni. Tra queste, è previsto il diritto a tre giorni di permesso retribuito al mese per assistere un familiare con disabilità grave ai sensi della legge 104/1992, ma allo stesso tempo è anche previsto un congedo straordinario retribuito fino a due anni per i lavoratori che assistono un familiare convivente, così come è possibile beneficiare di contributi figurativi durante i periodi di assistenza, questi ultimi conteggiati a fini pensionistici.

VIGEVANO Dove non arrivano le istituzioni, rimane un caposaldo l’aiuto delle associazioni. Tra queste l’Associazione Famiglie Alzheimer. Nata nel 2010 a Vigevano in via Sacchetti 3, accanto al centro Evergreen, si riunisce il martedì dalle 16 alle 18 in uno spazio accogliente per i malati e per le loro famiglie. «Qui, mentre i pazienti si dedicano ad attività ricreative – spiega la presidente, la neuropsicologa Eleonora Valle – si cerca di dare supporto ai familiari sia con indicazioni tecniche, come avviare procedimenti per l’amministratore di sostegno e analizzare le possibilità della legge 104, sia emotivamente con lo scambio delle proprie esperienze. Mentre l’ospite si ambienta, il familiare rimane in un clima di condivisione e amicizia».

MEDE In Lomellina tra le realtà presenti c’è il gruppo “Donne più” di Mede, nato come gruppo Ama (auto-mutuo aiuto) nel gennaio 2024 su iniziativa dell’assistente sociale Rossana Ferrari, che lavora anche al reparto di cure palliative del San Martino, è formato attualmente da una decina persone che si riuniscono ogni 15 giorni, solitamente lunedì dalle 15 alle 17, presso la Casa di comunità in viale dei Mille. «Gruppi come questo – spiega una portavoce – sono un sollievo per i caregiver, che altrimenti rischierebbero l’isolamento e la depressione, perché avere un familiare gravemente malato ti toglie la libertà, facendoti diventare a tua volta una vittima. L’assistente sociale, che ora è Alessia Serratore, fa da moderatore mentre condividiamo le nostre esperienze. Nessuno giudica, quello che ci diciamo resta tra noi, quando si presenta un nuovo membro deve essere accettato da tutto il gruppo. A volte verso la fine dell’incontro si parla di cose più leggere, dalle ricette agli animali domestici, e spesso prendiamo un caffè insieme. Insomma, si è creata una bella rete di conoscenze e amicizie».

Rossana Zorzato (ha collaborato Dz)

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