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Si è conclusa nella notte tra il 23 e il 24 novembre la Conferenza Onu sul clima di Baku. In Azerbaigian i delegati dei Paesi presenti sono riusciti a raggiungere un accordo di compromesso sulla finanza climatica, una conclusione che lascia insoddisfazione.
POCHI FONDI L’accordo raggiunto ha incontrato non pochi ostacoli: due settimane, che dire intense è un eufemismo, hanno poi visto la delibera finale (tra scroscianti applausi dei delegati) che prevede l’aumento degli aiuti per quei paesi poveri che hanno difficoltà, innanzitutto economiche, ad abbandonare carbone, petrolio e gas che sono senz’altro più convenienti dal punto di vista dei costi, ma molto più dannosi per il pianeta. Si passa da 100 a 300 miliardi di dollari: tutti destinati a quei paesi in via di sviluppo che però non hanno nascosto la loro insoddisfazione, visto che la richiesta di partenza era di 1300 miliardi, cifra considerata congrua anche dai principali studiosi di economia climatica.
IL RUOLO USA Dall’altra parte però c’è l’ottimismo che arriva dal segretario Onu António Guterres che, pur senza nascondere la preoccupazione per la difficoltà con cui è stato raggiunto l’accordo, ha esortato i governi nazionali affinché questa sia «la base su cui i paesi possono costruire i vari programmi per liberarsi dei combustibili fossili». L’ottimismo è condiviso anche dal commissario Ue per il clima Wopke Hoekstra e dal presidente uscente Usa Joe Biden, che ha precisato che «nessuno può fermare la rivoluzione sull’energia pulita». Una frase più che altro rivolta al suo successore Donald Trump, che nel suo primo mandato presidenziale decise l’uscita degli Usa dagli accordi di Parigi per il clima.
Edoardo Casati