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«Agli insulti ti abitui, ma davanti all’indifferenza rimani immobile». Michele, nome di fantasia, è un ragazzo come tanti: studia in un istituto vigevanese, esce con gli amici, segue le sue passioni, ha sogni e aspirazioni su quello che vorrebbe essere un domani. La sua routine però, tra un’interrogazione e una passeggiata in centro, è scandita anche da prese in giro, minacce, scherzi crudeli. Non è goliardia, non “se le va a cercare”: è bullismo, e Michele è uno dei tanti adolescenti a subirlo.
DALLE MEDIE Le vessazioni vanno avanti da quando frequentava le medie: «Mi è capitato spesso di non sentirmi accettato dai miei compagni a causa della mia sessualità, perché questa era fonte di insulti e pregiudizi. Mi è stato detto che quelli come me sono deboli, che faccio schifo, che devo morire». E poi battutine, risatine, in un crescendo continuo di molestie, sfociate poi anche in abusi fisici: «Alle medie – rivela infatti Michele – un ragazzo ha cercato anche di strangolarmi». Passando alle superiori, le cose non sono cambiate troppo in meglio:
In classe non ci sono persone che mi danno fastidio, ma fuori succedono sempre le stesse cose. Tempo fa sono stato preso di mira da un gruppo di persone che frequentava il mio istituto: dopo le solite battute e prese in giro, sono arrivati addirittura a danneggiare il mezzo con cui vado a scuola.
ABITUDINE La cosa peggiore è che a certe cose «ormai ci ho fatto l’abitudine», è l’amara considerazione dello studente. Anche perché i soprusi non si fermano ai corridoi della scuola, ma proseguono anche fuori: «Un giorno ero in castello, a giocare a pallavolo con delle amiche, e a un tratto un si è avvicinato un gruppo di ragazzi. Uno di questi ha iniziato a insultarmi, minacciandomi di morte se mi fossi presentato nuovamente lì». Michele è stato diplomatico: «Ho provato a parlargli in maniera ragionevole, cercando di farlo calmare. E devo dire che ha funzionato». «Molti mi dicono che quando uno subisce certe cose, alla lunga finisce per diventare lui stesso un bullo nei confronti di qualcun altro. A me piace invece credere che le persone, nel profondo dell’anima, possano cambiare. Quando uno mi attacca faccia a faccia, provo a evitare atteggiamenti aggressivi e cerco il dialogo: è successo anche che una di queste persone diventasse mia amica».
IGNAVIA Ma non sempre è possibile reagire: non quando le vessazioni sono striscianti, alle spalle, non quando ci si sente soli, perché gli altri si girano dall’altra parte. «Una volta un compagno, dopo l’ennesimo abuso, ha detto che se mi fosse successo qualcosa sarebbe venuto a difendermi: la cosa mi ha stupito, perché non avevamo un gran bel rapporto, ma per lo più prevale l’indifferenza: sento costantemente l’appoggio della mia famiglia, che mi è sempre vicina, di pochi amici, a scuola dei professori. Ma non di altri». Un atteggiamento che fa soffrire:
La noncuranza fa male. Vedi le persone che ti vogliono bene, che dovrebbero starti accanto, che invece ti ignorano.
E al contrario dell’aggressività, per Michele questo tipo di ignavia non si può cambiare: «Cose del genere restano sempre come sono. Di fronte alle offese si può reagire, ma davanti all’indifferenza, non puoi che rimanere immobile».
Alessio Facciolo