L’omelia di papa Leone XIV, «testimoniare e sparire»

Essere testimoni evidenti di Dio e consumarsi fino a scomparire alla vista. In questa endiadi in bilico tra l’ossimoro e il paradosso, tra la «città sul monte» e sant’Ignazio di Antiochia, martire che scompare «divorato dalle belve nel circo», si racchiude il nucleo della prima omelia pronunciata da papa Leone XIV nel corso della messa “Pro Ecclesia” che si è celebrata all’interno della Cappella Sistina. La riflessione del nuovo pontefice, Robert Francis Prevost, è stata tutta incentrata sul brano del Vangelo proposto dalla liturgia, tratto da Mt 16, 13-19, in cui Gesù chiede ai discepoli «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» e poi «ma voi, chi dite che io sia?». La risposta che Leone XIV dà è quella di Pietro, l’apostolo di cui è successore:

Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

CITTA’ SULLA COLLINA Il santo padre ha spiegato che Gesù «ci ha mostrato così un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità», con Pietro che «nella sua risposta coglie tutte e due queste cose, il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare, dimensioni inscindibili della salvezza, affidate alla Chiesa perché le annunci per il bene del genere umano, affidate a noi». Perciò la risposta dei discepoli, «tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», è ora affidata a tutti i cristiani, a partire proprio dal papa: «Questo tesoro lo affida a me perché col suo aiuto ne sia fedele amministratore». Un tesoro che non deve essere nascosto in un forziere, ma posto in bella vista, in modo che la Chiesa

sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo

non per la «magnificenza delle strutture» bensì «attraverso la santità dei suoi membri». In questo passaggio si manifesta forse il legame più forte di Leone XIV col retaggio statunitense, attraverso l’immagine della «città sulla collina» (pure di ispirazione calvinista) che nella vulgata americana è la nazione chiamata da Dio a guidare il mondo in un’era di progresso.

Messa Pro Ecclesia
papa Leone XIV nel corso della Messa Pro Ecclesia

Il pontefice sembra invece voler assegnare al “corpo mistico di Cristo” il compito di illuminare l’umanità attraverso l’annuncio poiché «noi siamo la Chiesa, siamo una comunità che deve annunciare la buona novella di Cristo». Un’azione missionaria – papa Prevost è stato missionario in Perù per molti anni e ha fatto riferimento alla missione anche nel discorso di ieri dalla loggia di San Pietro LINK – che come ogni missione ha bisogno di un luogo in cui esplicitarsi. Tornando al Vangelo, Gesù vuole sapere cosa pensa «la gente» di lui e secondo Leone XIV «potremmo trovare a questa domanda due possibili risposte che delineano altrettanti atteggiamenti». Da un lato c’è la “gente” etimologica, che nell’impero romano sono le famiglie patrizie, la classe dirigente: «Matteo sottolinea che la conversazione tra Gesù e i suoi circa la sua identità avviene nella bellissima cittadina di Cesarea di Filippo, ricca di palazzi lussuosi, incastonati in uno scenario naturale incantevole, alle falde dell’Hermon, ma anche sede di circoli di potere crudeli e teatro di tradimenti e di infedeltà. Questa immagine ci parla di un mondo che considera Gesù una persona totalmente priva di importanza, al massimo un personaggio curioso che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire. E così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo mondo non esiterà a respingerlo e a eliminarlo». Dall’altro lato c’è la «gente comune», «per loro il Nazareno non è un ciarlatano, è un uomo retto, uno che ha coraggio, che parla bene e che dice cose giuste, come altri grandi profetti della storia di Israele.

Per questo lo seguono, almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti.

Però lo considerano solo un uomo, e perciò nel momento del pericolo, durante la passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno delusi».

CONTESTI ATTUALI Non siamo duemila anni fa, «stupisce di questi due atteggiamenti la loro attualità. Essi incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente, magari espresse con un linguaggio diverso, ma identiche nella sostanza, sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo.

Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli,

poco intelligenti, contesti in cui adesso si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere». Questi sono gli ambienti della missione delineata da Leone XIV – e in questo si coglie l’attenzione al sociale che lo lega a Leone XIII e alla Dottrina sociale della Chiesa – luoghi «in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo, e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, al massimo sopportato e compatito. Eppure proprio per questo sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia, tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco».

Messa Pro Ecclesia
La Messa Pro Ecclesia nella cappella Sistina

GLI ASSENTI Fin qui il tema dell’annuncio, della testimonianza evidente; ma poi c’è quello dell’oblio. Un primo oblio colpevole che rimanda a un «contesto in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere a questo livello in un ateismo di fatto». Contro questo oblio «è essenziale ripetere “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”. È essenziale farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con Lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione. Ma poi anche come Chiesa, vivendo insieme la nostra appartenenza al Signore e portandone a tutti la buona notizia». C’è infine un secondo oblio necessario, a cui Leone XIV arriva all’improvviso nella parte conclusiva della sua omelia, citando un episodio apparentemente secondario, il martirio di sant’Ignazio di Antiochia, un vescovo che è martirizzato a Roma, la stessa città in cui lui ora ricopre il medesimo incarico. «Egli, condotto in catene verso questa città, luogo del suo imminente sacrificio, scriveva ai cristiani che vi si trovavano:

Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo.

Si riferiva all’essere divorato dalle belve nel circo, e così avvenne». Eppure non è solo questo, c’è di più, c’è quella che sembra essere un annuncio di stile del nuovo pontificato, «un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo». Essere (testimoni) e non essere (scomparire alla vista, ma anche consumarsi) per rivelare «il Cristo, il Figlio del Dio Vivente».

Giuseppe Del Signore

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