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Hafez Haidar è libanese, «ma ritengo di essere Romano di origine». Candidato due volte al Nobel per la pace, una a quello per la letteratura, è docente emerito di Lingua e letteratura araba all’Università di Pavia ed è da sempre appassionato letterato, traduttore (ha tradotto “Le mille e una notte” e “Il Corano”), presidente onorario tra gli altri del Premio internazionale di giornalismo “Maria Grazia Cutuli”, Cavaliere della Repubblica e Ufficiale del Primo ordine cavalleresco. Soprattutto è da sempre innamorato dell’umanità e della pace. Professore, come racconterebbe il Libano a chi non lo conosce?
«E’ uno stato piccolo, 10452 chilometri quadrati, come la Lombardia. La nostra è una repubblica parlamentare, con un presidente della Repubblica maronita, un presidente del Consiglio sunnita e un presidente del Parlamento sciita, anche se il primo oggi è vacante. Il Libano dal 2020 è in una incredibile crisi economica. Gli stipendi sono scesi del 90% del valore, un insegnante che prendeva 1200 euro, oggi prende 90 dollari al mese se ce la fa; un giudice, prendeva 7000-8000 dollari al mese, adesso 250 dollari al mese. Prima si comprava con la lira libanese, ora tutto è pagato in dollari. A questa crisi il 4 agosto 2020 si è sommata l’esplosione del porto di Beirut, con 295 morti, 7mila feriti e danni immensi, 300mila libanesi sono rimasti senza un tetto. Questa era la situazione prima degli ultimi avvenimenti».
Il Libano un tempo era definito “Svizzera del Medio Oriente”.
«Il Libano è un paese aperto a tutte le culture. Ancora oggi i francesi hanno la loro università in Libano e un ospedale, anche gli statunitensi hanno l’università americana a Beirut, la più famosa dell’area. I libanesi poi abitano il mondo, in 18 milioni si trovano all’estero, la principale comunità è in Brasile, ma anche quella negli Stati Uniti è numerosa e vivace. In Libano invece abitano circa 5 milioni di persone, ma ospitiamo 2 milioni di profughi, i palestinesi giunti dopo il 1948, ma anche i siriani arrivati dopo il 2011. Tutti sono stati accolti e aiutati secondo le capacità dei libanesi».
Non è un paese chiuso, dove il velo domina. Abbiamo una cultura incredibile, parliamo arabo, francese e inglese.
Qual è la situazione invece da quando sono iniziate le operazioni militari di Israele?
«Netanyahu ha detto che, in caso di reazione, ci farà tornare all’età della pietra. Dopo l’attacco del 7 ottobre, una pagina nera nella storia dell’umanità, che ci ha portato ai tempi di Auschwitz e che condanno fermamente, perché definisco barbari quelli che hanno fatto ciò, non ci si può vendicare in maniera così brutale. In Libano abbiamo più di 2500 morti finora, sfollati 1.2 milioni, la maggior parte arrivati a Beirut non hanno casa, sono finiti sui marciapiedi, nelle chiese, nelle moschee. E ricordiamo che il Libano è importante per la Chiesa, perché la principale rappresentanza dei cristiani, dopo l’Iraq, è in Libano».
E’ un Paese complesso in cui convivono religioni diverse, tanto che perfino il sistema di governo è stato costruito per tenere conto di questa complessità.
«In Libano la cattedrale di San Giorgio sorge accanto alla moschea di Mohammad al-Amin. Abbiamo 18 confessioni religiose, tra le quali sciiti, sunniti, ismailiti, alawiti, drusi, chiesa greco ortodossa, cattolica, melkita, ortodossa-siriaca, protestante, assira d’Oriente, caldea, latina, copta, la comunità ebraica, gli armeni. Per tanti decenni i cristiani sono stati il gruppo più consistente. Questa complessità però ha condotto anche alla guerra civile in Libano. Eppure, anche se il Paese è fragile, il Libano non può essere minacciato di devastazione come Gaza, perché non è Gaza, mantiene ottimi rapporti con Stati Uniti, Francia, ha istituzioni radicate, buoni rapporti con l’Italia dai tempi dei Medici e prima ancora con l’impero romano, come testimonia il complesso archeologico di Baalbek. C’è Unifil dal 2006, una forza di pace dell’Onu. Attaccare Unifil è come attaccare l’Onu e questo non va bene, perché queste persone che sono andate in Libano sono andate per stabilire la pace e disarmare i partiti».
Il suo Paese da decenni conosce l’instabilità, soprattutto a causa della presenza di Hizbollah e delle azioni militari condotte da Israele. Com’era la situazione prima di questo intervento militare?
«Hizbollah, finanziato dall’Iran, è nato dopo l’invasione del Libano di Israele nel 1978. Sembrava un partito patriottico, si è rivelato un’organizzazione terroristica, loro hanno ucciso Rafiq al-Hariri, che aveva aiutato 50mila studenti ad andare all’estero di tasca sua, aveva ricostruito il Libano dopo la guerra civile, ci stava riportando a un’età dell’oro col sostegno dell’Arabia Saudita. L’hanno fatto saltare in aria. Hizbollah in realtà non rappresenta tutti gli sciiti, ma solo la minoranza radicale, che tuttavia è la stessa che, a causa della crisi economica, ha dato aiuto alle famiglie povere, pagando di fatto uno stipendio mensile a tanti che in cambio hanno preso le armi e formando un esercito nello stato libanese. La popolazione non può prelevare più di 200 euro in banca, non ha l’elettricità 24 ore su 24, il riscaldamento da anni non c’è e si usano i generatori. Si regge sulle rimesse: io sono del ’77, ancora oggi a 71 anni arrivo a mandare 6-700 euro al mese, perché devo fare questa vita? Di certo noi non abbiamo bisogno dell’Iran dal punto di vista economico, a meno che non voglia inviare aiuti anziché armi».
Di chi sono le responsabilità?
«Delle armi. Gli Stati Uniti finanziano per il 69% la fornitura di armi a Israele, al secondo posto c’è la Germania per il 30%, poi Italia, Francia, Spagna. L’Iran fornisce le armi a Hizbollah. Il Libano si trova tra l’incudine e il martello. Finché tutti producono le armi con scopi commerciali ed economici non ci sarà mai la pace, né in Medio Oriente né nel mondo. Io lo chiamo uno sporco sentiero. Iniziamo a disarmare i popoli, a vietare la vendita delle armi».
Lei è stato candidato al premio Nobel per la pace: come mai?
«La candidatura è stata lanciata da alcuni paesi arabi e dall’Alta corte europea per l’ambiente, sono stato candidato anche a quello della letteratura da parte dell’Università di Pavia e di una trentina di altre istituzioni. Hanno visto in me una persona pacifica, da libanese lavoro per la memoria di Auschwitz e non sono anti-israeliano; perché bisogna odiare il prossimo e un popolo che ha sofferto tanto? Bisogna instaurare ponti di dialogo tra Oriente e Occidente, i presidenti Mattarella e Napolitano mi hanno premiato per questo».
Come si può costruire la pace in Medio Oriente?
«Finché non ci sono interessi economici, politici, sociali a 360° il Medio Oriente non rivedrà la pace. Inizierei dall’embargo delle armi per questi paesi, dalla lotta al terrorismo tagliando i rifornimenti, la stessa cosa all’esercito israeliano e, tramite l’Onu, tornare ai due stati indipendenti, quello israeliano e quello palestinese. Se noi creeremo questi due stati secondo me finirà la guerra. Purtroppo però oggi i palestinesi non esistono, non sono un popolo; se vai a Gaza non ci sono più case. C’è tanto pianto lì dentro. Vogliono eliminare Hamas e Hizbollah? Io sono d’accordo a eliminare ogni tipo di terrorismo, però eliminare i civili non lo ammetto. Da parte di nessuno, che siano israeliani, libanesi, iraniani o siriani o altro».
Nei suoi libri si è occupato delle figure di San Francesco e del Sultano Al-Malik Al-Kamil: possono essere un modello?
«Loro vissero al tempo delle crociate. Ci sono persone come san Francesco, attualmente abbiamo papa Bergoglio, che possono fare qualcosa per creare un mondo migliore, diffondendo l’idea di amarsi l’uno con l’altro, anziché diffondere l’amore di uccidere. Io dimentico di essere libanese, penso di essere figlio di questo mondo: nessuna delle tre religioni monoteistiche richiama l’uomo alla guerra. Da dove hanno creato queste idee di odio Da quale pulpito? E’ frutto dell’uomo moderno. Quanto costa ogni bomba o ogni missile? Quante famiglie possiamo sfamare al costo di un drone? Perché questa mania di uccidere? Perché non vivere in pace? La domanda che io faccio è perché non si muovono gli stati per un embargo di armi e l’invio di aiuti umanitari?».
Lei ha scritto una bellissima traduzione de “Le mille e una notte” ed è autore di racconti e saggi. Come racconterebbe la cultura araba a chi non la conosce?
«L’ho raccontata nel mio libro “La letteratura araba” edito da Rizzoli. Grazie alla cultura araba abbiamo conosciuto Aristotele, Platone, Socrate, attraverso i traduttori alla corte di Federico II di Svevia. Abbiamo conosciuto tutto il patrimonio culturale dell’antica Grecia, opere in campo medico grazie a studiosi come Avicenna, con i suoi 18 volumi arrivati all’università di Bologna, e nella matematica, con Omar Khayyam, il grande poeta, che ha inventato la seconda e la terza equazione, e al-Khwarizmi che ha inventato l’algoritmo».
Altro tema che affronta è l’amore nei testi sacri, Bibbia, Vangelo e Corano: c’è un filo comune che li unisce?
Certo, adesso ti spiego qual è. Noi siamo tutti fratelli dalle origini, dai tempi di Abramo, padre di Isacco e di Ismaele. Ismaele padre della stirpe araba, Isacco della stirpe ebraica. Perché questo fanatismo? Nasce dall’odio, dal dio denaro; il diavolo della nostra epoca sono i soldi e le armi.
Nel tempo ha dimostrato un’autentica passione per la figura di Gibran.
«Ho tradotto tutti i suoi libri e scritto un romanzo sulla sua vita. Non ha mai vinto un premio nella sua vita, se non un secondo posto come pittore. Non è nemmeno stato candidato al Nobel. Le sue opere erano boicottate dai turchi che governavano il Libano, perché lui incitava alla libertà e all’uguaglianza, che non erano ben visti dall’impero ottomano. Ha creato la lega degli scrittori negli Stati Uniti e hanno fondato questo stile letterario nuovo. Hanno abbandonato lo stile vecchio della poesia araba, con la sesta rima, monotono e difficile da adattare all’epoca in cui vivevano. Hanno fatto combaciare l’occidente con l’oriente, questa è la loro grandezza. Anche Nizar Qabbani non l’hanno candidato. Sono anche stato loro allievo: ho imparato l’arte dello scrivere da loro».
Lei è originario della valle della Beqa’, in particolare della città di Baalbek, importante sito archeologico che presenta tracce del passaggio di Cananei, Romani, Arabi. Quale storia racconta?
«E’ una terra dove l’impero romano ha lasciato tanti monumenti. Sono nato accanto a quelle vestigia. Ritengo di essere romano di origine. L’ho detto anche quando mi hanno conferito il Primo Ordine. E’ vero, non ho mentito. Provengo forse da quel mondo. I popoli sono mescolati. I libanesi: occhi azzurri, occhi verdi, capelli castani, biondi, questo miscuglio penso ai tempi delle crociate e sono nate creature diverse. Il Libano è multietnico e rappresenta il mondo intero in un piccolo spazio. Bisogna conservarlo il Libano, cerchiamo di aiutarlo».
Giuseppe Del Signore