L’Intervista / Adriano Ballone, uno storico in “esilio”

La vita di Adriano Ballone, storico e scrittore, è stata una specie di cerchio. È iniziata a Cassolnovo, dove è nato, in un cortile che addirittura porta il suo cognome “La curta di balon”, è passata poi da Novara, Torino, Roma e Milano, per ritornare oggi a Vigevano, città alla quale ha dedicato due dei suoi ultimi libri, “Azzurra Nostalgia” su Mastronardi e Pallavicini e uno sul giornalista vigevanese Tommaso Besozzi pubblicato con Astrolabio, attività alle quali si aggiunge anche l’operazione di recupero della memoria del quartiere operaio Cascame. “Azzurra Nostalgia” è il libro del “ritorno” in Lomellina, ma si apre con un’immagine di distacco, che ricorda il giorno in cui è andato in collegio. Il primo posto al di fuori dalla Lomellina dove ha svolto la sua attività è stato Novara. Che ricordo ha di quel periodo?

Era il 1968 e all’università facevo parte di un terzetto, il Gatobal. Era l’acronimo dei nostri cognomi: Gallione, Toscano e Ballone. Eravamo i “liderini” del ’68 novarese. C’era anche un giovane Fausto Bertinotti, che all’epoca era molto simile a quello che sarebbe diventato: un teorico, un intellettuale e un idealista, nel periodo in cui faceva già il sindacalista.

Ma la città dove ha svolto le maggiori attività è stata senza dubbio Torino. Come ci è arrivato?

«Dopo la morte di mio padre ho dovuto abbandonare il liceo classico. Mi sono diplomato alle magistrali e ho cominciato ad insegnare. Nel frattempo frequentavo l’università a Torino».

Che ricordo ha di Cassolnovo in quegli anni?

«Di Cassolnovo ricordo i giochi da ragazzino, la bicicletta e gli animali: mi divertivo molto a giocare con loro».

Per un breve periodo però ha tenuto il piede in due scarpe non lasciando mai la Lomellina. Come visse quel momento?

«A Cassolnovo fui avvicinato dal Pci nel ’70. Non mi candidai, ma divenni segretario del partito. Io ero già a Torino all’epoca. Cercavo di portare il ’68 a Cassolnovo. Fummo io e il mio amico Piero Cometti a portare la politica in piazza. Riaprimmo la festa dell’Unità. La mia famiglia aveva idee conservatrici. A Cassolnovo sono stato molto osteggiato da loro e dall’ambiente».

A quegli anni risale anche uno scritto che in Lomellina ha fatto epoca. Un’indagine storica su una piccola sezione del Partito Comunista. Come si svolse?

«Fu un lavoro di storia orale, nel quale intervistai i militanti dell’epoca per ricostruire lo sviluppo di una piccola sezione, dalla Resistenza fino agli anni ‘70. Un personaggio particolarmente interessante fu quello dell’ex partigiano Mazzini, che militò a lungo nel partito comunista, prima di una rottura».

Poi la Lomellina esce dal radar dei suoi interessi.

«Mi sono concentrato a lungo sulla storia del movimento operaio, ho scritto la biografia di Sergio Garavini e ho lavorato alla Commissione Brocca, che doveva occuparsi della riforma della scuola, ma che in realtà fu un lavoro non completo. Per quel che riguarda la storia del movimento operaio, durante le mie ricerche venne fuori un libro che suscitò polemiche dentro al Pci torinese, perché negavo l’esistenza di certi scioperi del ’43-45. Poi fu la volta di alcune biografie, tra cui quella di Sergio Garavini (sindacalista e deputato, ndr) con Fabrizio Loreto. Nel frattempo ero stato chiamato a dirigere un giornale per insegnanti e finii a Roma, ammaliante città, e lì fui chiamato a lavorare nella Commissione Brocca per la riforma dei programmi scolastici».

Fino al ritorno. A cosa è dovuto?

Un giorno mi sono chiesto. “Ma perché me ne sono andato?”. E non ricordavo il motivo. Ho pensato che non ci fosse ragione di rimanere ancora così distante. Anche perché per molti anni non sono venuto in Lomellina, tagliando completamente i ponti.

Il rientro è stato con un libro che ha risolto l’annosa questione che vede la figura di Lucio Mastronardi contrapposta a quella di Vito Pallavicini. Come è nato?

«Ha avuto una gestazione molto lunga, iniziata nel 1987 è finita nel 2016. Fu Giovanni Tesio (filologo e docente universitario, ndr) alla metà degli anni ‘80 a propormi di scrivere quel libro. Aveva del materiale da parte ed era pronto a cedermelo. Io in quel momento avevo semplicemente altro per la testa e poi nella mia vita non mi ero mai occupato di letteratura. Quindi l’idea rimase a metà a lungo. Più volte negli anni con Tesio parlammo del libro su Mastronardi, ma non si arrivò mai a concretizzare nulla. Fino a quando mi decisi io, ma Tesio aveva ceduto il materiale a Riccardo De Gennaro, che io non conoscevo. Lo chiamai per chiedergli se me lo potesse far visionare, ma mi rispose che non l’aveva più. Così iniziai a lavorare tornando a Vigevano. I nostri libri uscirono assieme. Tutti e due su Mastronardi, ma con un approccio diverso».

Da lì in poi c’è stato il ritorno a Vigevano, culminato nei mesi scorsi con l’intervento al Cascame. Si è rivelato un vero e proprio successo. Qual è stato il segreto?

«Una concatenazione di eventi positivi. A partire dall’attività di ricerca storica che ha svolto in modo accurato Filippo Caserio, fino all’aiuto e al sostegno che abbiamo avuto da don Paolo Nagari l’iniziativa è partita da Giuseppe Vullo e dalle Acli».

Da parte della popolazione del quartiere poi abbiamo visto una grande partecipazione e un grande interesse e lo dimostrano i numeri di quanti hanno partecipato.

Di cosa si sta occupando in questo momento?

«Sempre legato a Vigevano e alla Lomellina sto approfondendo la conoscenza con un personaggio che è stato fondamentale nell’affermarsi del fascismo. Si tratta di Cesare Forni. Lui fu uno dei principali animatori del fascismo agrario delle origini, che subito dopo viene messo in un angolo, quando alle elezioni del ’24 fu l’unico a presentarsi contro Benito Mussolini e il famoso listone».

Oltre alla Lomellina, però, i suoi interessi toccano anche altri argomenti. Quali sono?

«Negli ultimi anni mi sono occupato di strategia della tensione, ma adesso mi sto concentrando sull’oro di Dongo e su tutte le vicende che ruotano attorno alla morte di Benito Mussolini e sulle figure che accompagnano il duce negli ultimi giorni, ma anche nelle dinamiche che toccano i partigiani. Sono riuscito a entrare in contatto con alcuni degli eredi dei partigiani che hanno ucciso Mussolini nell’aprile 1945. Ci sono storie particolari, tra cui quella del ragazzo che trascorse l’ultima notte davanti alla camera del dittatore. Mi sto occupando anche di due fratelli pugliesi uccisi».

Andrea Ballone

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