Nel pieno dell’estate si interrompe la lettura del vangelo di Marco per lasciar spazio al capitolo 6 di Giovanni con il discorso sul pane di vita. Gesù porta gli uomini a consapevolezza delle loro intenzioni: strumentalizzare un “segno” che rimanda al Padre che Gesù annuncia, rendendolo pretesto per ridurre colui che Dio ha mandato un fenomeno da baraccone sforna pagnotte.
Gesù rifiuta garbatamente l’incoronazione regale, coi tratti tipici del quarto vangelo, per ricondurre a ragione l’emotività sfrenata degli uomini che si trova davanti sbalorditi ed eccitati dal miracolo cui hanno assistito.
La pedagogia di Gesù spoglia l’emotività spontanea di qualsiasi valore religioso per ricondurre questo alla sfera della volontà; compie questo servendosi di precetti e istruzioni: anzitutto viene comandata una ricerca verticale del pane che dura.
Gesù nel vangelo identifica questo cibo con la volontà di Dio, e a ben pensarci Gesù vive e si nutre di quella, punto.
Insegna e indica a chi lo cerca con attese miracolistiche di concentrare lo sguardo attento sulla volontà di Dio che Lui compie in pienezza, quindi anche a noi insegna a cibarci primariamente di questo amore che si concentra nel precipitato solido di una volontà-per-il-nostro bene.
Che il cibo proposto da Gesù sia la volontà del Padre era già stato esplicitato (in Gv 4, 31-34, con la samaritana al pozzo) ai discepoli che insistevano perché mangiasse: “ho da mangiare un cibo che non conoscete” e ancora “mio cibo è compiere la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”. Quindi chi si ciba di Lui, si ciba di ciò che Lui ha mangiato: la volontà del Padre che lo tiene in vita nella sua carne mortale. Ora qui si ripropone il tema, questa volta recepito dagli uditori: “cosa dobbiamo fare per compiere l’opera di Dio?”. Si consuma il paradosso: il cibo che nutre è quello che ti spoglia, che ti rende dono per gli altri: fare. E per “fare” viene indicato l’investimento della fede, cioè che il bene che biologicamente ti toglie energie, in realtà ti riempie e ti sazia l’anima, perché solo la logica del dono, che è divina, riempie il cuore.
Ma il pragmatismo umano chiede senza imbarazzo concretezza: vogliamo vedere che non sei un ciarlatano tra i tanti; compi un segno! Da notare l’ingordigia di chi dimentica il prodigio appena dispiegatosi. Da notare che il quarto vangelo non parla dell’eucaristia nei termini dell’ultima cena, ma a partire da questo segno costruisce una grandiosa catechesi messa in bocca a Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Quindi Gesù, che non sa bene la matematica, infatti moltiplica dividendo, identifica il pane dal cielo che sazia con colui che discende dal cielo per insegnare che dividendo quello che c’è si compie la volontà del Padre e questo è il culto a Dio gradito.
Don Andrea Padovan