Frate Matteo Carreri e la pacificazione dei mercanti

Quest’anno ricorrono due significativi anniversari del Beato Matteo Carreri: 600 anni dalla nascita e 550 anni dalla morte. Era frate del convento domenicano San Pietro Martire in Vigevano quando, il 5 ottobre 1470, lasciava questo mondo con la promessa che avrebbe sempre protetto la sua cara Vigevano. Molti sono gli episodi della sua vita esemplare. Qui riportiamo un aspetto di donazione e di pacificazione. In questo racconto narro della mediazione offerta da frate Matteo Carreri nel comporre l’accesa diatriba in atto tra i mercanti di Vigevano; nel contempo evidenzio alcuni tratti della comunità vigevanese per la seconda metà del Quattrocento. Date e personaggi sono autentici.

Il duca Galeazzo Maria Sforza, subentrato al padre Francesco Sforza alla guida del vasto Ducato di Milano, convocò in Vigevano per il 20 gennaio 1470 i rappresentanti dei vari territori del Ducato per il giuramento di fedeltà. E in tale data, nel castello di Vigevano giunsero i delegati dei contadi di Pavia, Cremona, Lodi, Tortona, Alessandria, Novara, Parma, Piacenza e di altri luoghi del Ducato tra cui Vigevano. Questa comunità non era ancora città (sarà tale nel 1530); disdegnava di essere considerata un borgo e si dichiarava “terra separata”, e con tale qualifica veniva indicata nei carteggi ufficiali. Infatti, Vigevano non apparteneva ad alcun contado limitrofo, né a Novara, né a Pavia, e nemmeno a Milano, ma direttamente al solo Duca rispondeva dei suoi atti politici e amministrativi. Vigevano contava al tempo più di seimila abitanti ed era rinomata per i suoi lanifici di “panno alto” ossia pregiato. I “mercatores” vigevanesi tenevano rapporti mercantili con le varie comunità del Ducato e raggiungevano persino la lontana Genova grazie all’imprenditore genovese Giovanni Bossi che si era insediato in Vigevano. Soltanto la città di Pavia con il suo contado aveva chiuso l’accesso ai prodotti vigevanesi, tentando una produzione in proprio. Tale chiusura era decisamente sgradita agli imprenditori di Vigevano. Il mercante Abramo Ardizzi, assai accreditato presso la corte ducale, scrisse allora una lettera riservata al potente Cicco Simonetta, Segretario politico del Ducato, affinché appoggiasse l’autorizzazione alla libera circolazione dei drappi di lana vigevanesi nel completo Ducato, aggiungendo: “Se tale autorizzazione si potesse avere, questi lanaroli di Vigevano non sarìano ingrati verso la Signoria Vostra”. Ma, anche Pavia si mosse a difesa dei suoi interessi e i drappi di lana di Vigevano rimasero vietati per il territorio pavese. In conseguenza sorsero tensioni all’interno della Corporazione dei mercanti di Vigevano che si possono riassumere in chi voleva intervenire con la forza per sbloccare il diniego pavese, e chi indicava invece la via delle trattative. Le tensioni si ripercossero nel Consiglio Generale (comunale) composto da sessanta Consiglieri detti Decurioni, per la maggior parte appartenenti al ceto mercantile. Si fronteggiavano due fazioni: quella facente capo al potente mercante Giorgio Colli con il figlio Antonio Colli, e quella che si riferiva ai fratelli Giovanni e Antonio Desio. Nella seduta del Consiglio Generale del primo gennaio 1470, Giorgio Colli aveva contestato l’elezione dei due Desio a stare nel Consiglio Generale ricevendo in risposta che anche i Colli stavano in due nel Consiglio; la disputa divenne così accesa che il podestà Bonaventura Saìno (di nomina ducale) dovette sospendere la riunione rimandandola al 7 gennaio. Nella nuova seduta, Giovanni Desio presentava due lettere ducali (ottenute dal Segretario Cicco Simonetta) nelle quali i due fratelli Desio erano ammessi al Consiglio Generale. Allora Giorgio Colli si mise a sfuriare che tali lettere erano state “impetrate” ossia comprate, suscitando reazioni violente in entrambi gli schieramenti che costrinsero il podestà a sospendere a fatica la seduta, rimandando il tutto all’annunciata venuta di Galeazzo Maria Sforza per il giuramento di fedeltà dei contadi e delle terre del Ducato. Per la data stabilita del 20 gennaio 1470, giunse al castello di Vigevano il duca Galeazzo Maria Sforza con la corte e con la moglie Bona di Savoia e il figlioletto Gian Galeazzo Maria Sforza, segno che il duca intendeva tenere residenza in Vigevano per qualche tempo. Nel salone dei ricevimenti si svolse la fastosa cerimonia del giuramento di fedeltà al Duca di Milano da parte dei rappresentanti dei vari contadi e terre. Per la “terra separata” di Vigevano giurarono i procuratori (detti anche sindaci) Giorgio Colli, Spiritino del Pozzo, Giovanni Vastamiglio e Ambrogio Gravalona. Il duca ordinò quindi che ciascun rappresentante prendesse appuntamento con la segreteria ducale per l’incontro specifico con lo stesso duca e con i suoi consiglieri al fine di dirimere le variegate questioni delle diverse comunità. Il calendario prevedeva riunioni specialmente per il mese di febbraio, poiché il duca doveva in contemporanea sopperire alla politica interna ed estera del ducato, alle fazioni militari, alle esigenze di famiglia e pure alle feste di corte. LA VENUTA E L’OPERA DI FRATE MATTEO CARRERI In quel mese di febbraio 1470 giunse al convento di San Pietro Martire di Vigevano, sede dei Frati predicatori osservanti, il domenicano frate Matteo Carreri. Proveniva dal convento di Soncino ove lo aveva raggiunto l’ordine del Maestro della Legazione di Lombardia di portarsi al convento di Vigevano per predicare ai notabili e al popolo il quaresimale di carità e giustizia (secondo la riservata richiesta ai Superiori da parte di Cicco Simonetta assai preoccupato del clima di tensione in atto nella terra di Vigevano). Frate Matteo fu accolto dalla comunità domenicana guidata dal priore frate Bartolomeo Bergonzi (o Bragunzi) e subito partecipò alla conosciuta vita comunitaria intessuta di preghiera, meditazione, predicazione, studio. Su quest’ultimo punto occorre segnalare che i Frati domenicani tenevano lo “Studium” di filosofia e di teologia, preceduto dal Gymnasium al quale i ragazzi delle famiglie notabili di Vigevano partecipavano per apprendere “di scienza e di coscienza”. Tra essi figuravano due ragazzi dodicenni: Pietro Colli (figlio di Antonio Colli e nipote di Giorgio Colli) e Cristoforo Desio (figlio di Giovanni Desio). Frate Matteo fu invitato dal Priore a tenere un ciclo di riflessioni al Gymnasium sulla “Etica Nicomachéa”, ossia sugli insegnamenti di morale che Aristotele aveva fornito al figlio Nicòmaco, per quindi addivenire ai precetti cristiani in rapporto all’umanesimo. Frate Matteo, sui valori della misericordia e del perdono, notò la diffidenza dei due ragazzi delle famiglie in conflitto e si propose di mediare per la pacificazione. Con intense preghiere al grande Crocifisso della chiesa di San Pietro Martire e con colloqui personali con ciascuno dei due ragazzi, giunse a che i due divenissero amici e riuscissero a coinvolgere le famiglie. Frate Matteo allora decise per incontri specifici e allargati alle famiglie Colli e Desio. Egli addivenne alla sintesi di mediazione in cui ciascun gruppo perdeva qualche posizione ma ne guadagnava in pacificazione per tutta la comunità di Vigevano. Fu incaricato il consigliere Gian Marco Valàri di presentare al duca la soluzione raggiunta. Galeazzo Maria Sforza la approvò. E così nel Consiglio Generale di Vigevano del 4 marzo 1470 fu proclamata la lettera ducale che accoglieva la salomonica mediazione di frate Matteo: essa stabiliva che solo il capo di ciascuna delle famiglie in questione partecipasse al Consiglio Generale. E i designati consiglieri Giorgio Colli e Giovanni Desio si strinsero finalmente la mano in segno di pace, con soddisfazione di tutta Vigevano, come aveva tanto desiderato e pregato il santo frate Matteo Carreri, il quale poi strinse la mano ai due ragazzi che lo avevano calorosamente aiutato nell’impresa della pacificazione.

Marco Bianchi

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