«La condizione di conversione che il tempo di Avvento chiede è esattamente la condizione di cura per smascherare il lato oscuro dell’individualismo». In preparazione del Natale, L’Araldo ha intervistato il vescovo di Vigevano, monsignor Maurizio Gervasoni, per riflettere sul valore dell’attesa che precede la natività e sul senso della festa stessa.
Che valore ha Natale per i cristiani e nello specifico per la comunità diocesana?
«Nel 2023 ci sono alcuni elementi che catturano l’attenzione, il primo è più propriamente legato al Natale e sono gli ottocento anni del presepe che, per via di una ricorrenza centenaria, sottolineano una tradizione che permane molto significativa anche nelle nostre comunità e che merita di essere approfondita, con l’esortazione a concentrare il Natale non tanto sui regali o sul consumo di beni o di relazioni, quanto sul mistero che l’evento natalizio ricorda, quindi anche con gli aspetti intimi, domestici, spirituali che sono legati alla quotidianità della vita che è raggiunta dal mistero di Dio in forma semplice come appunto nella nascita di un bambino, pieno di speranza e di promessa. La seconda sottolineatura è che il mistero del Natale quest’anno coincide con una nuova guerra in Terrasanta che sta facendo molte vittime, anche bambini, e che esaspera una situazione di contrapposizione violenta, di tipo più emotivo che non razionalmente strutturato, una situazione di incompatibilità tra due popoli che non sembrano trovare pace e che portano a una situazione di distruzione che è esattamente l’opposto di quello che il Natale dovrebbe suggerire, provocare, e quindi dà una vena di tristezza e anche un impulso a una preghiera, una speranza, che deve animare il cuore soprattutto dei cristiani. La terza cosa che aggiungo, che compare nel Messaggio che è stato pubblicato su L’Araldo, è la modalità sempre più commerciale legata al “black Friday”, alla crescita dei consumi che è costantemente ricordata dai media e che segue la preoccupazione di un’economia che sembra stagnare e non riesce a recuperare, dal problema di non far ripartire l’inflazione, che fan dimenticare che quest’anno invece noi abbiamo aumentato l’appartenenza sotto la soglia di povertà di tante persone, quindi quest’ipocrisia del Natale che fa dimenticare le ragioni per cui esiste, che sarebbero quelle del riscatto e non dell’aumento della povertà. L’augurio che rivolgerei quest’anno è un ritorno alla celebrazione spirituale, religiosa, comunitaria del Natale come mistero di Gesù che nasce».
Difficile non ricordare la guerra, che colpisce anche il luogo che ha ospitato l’evento storico del Natale, Betlemme, dove quest’anno non ci saranno festeggiamenti e prevalgono rabbia e sgomento.
«Betlemme ci ricorda che anche la celebrazione del Natale cristiano non vede la perfetta convergenza di tutta la cristianità. A questa non piena concordia simbolica del mondo cristiano si aggiunge il fatto che Betlemme, questa “città di Davide” è anch’essa al centro di un conflitto a pochi chilometri da Gerusalemme e quest’anno particolarmente distante da Israele. Questo accentua la sensazione di vedere, come dice Luca nel Vangelo, “in quel luogo”, la città di Davide, il bambino che nasce nella grotta perché “non c’era posto per loro nell’albergo”. E tuttavia Maria accudisce quel bambino appena nato, lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia; questo è l’auspicio anche per Betlemme, che la cura dell’amore, che accudisce il bimbo che è nato, superi le divergenze politiche, ideologiche, religiose che Betlemme, “città del pane”, si trova a incarnare in maniera drammatica».
Natale è un momento di sosta, la quotidianità si interrompe per un attimo. E’ ancora così?
«Il momento del fermarsi per me resta, ma è percepito culturalmente in maniera diversa. Non è la società che si ferma, a Natale si va in giro di più, ma è il mondo familiare che si ferma, il mondo dell’occupazione di lavoro ordinario; si restituisce un po’ di spessore agli affetti familiari, ai momenti di amicizia. In questo senso ci si ferma, questa dimensione affettiva e simbolica, che tocca il cuore e relativizza l’apparato del mondo del lavoro e dello stato, mi sembra che permanga e che sia opportuno che resti, magari un po’ ipocrita talvolta, ma le famiglie si mettono insieme, il rito del regalo dice un affetto che vuole essere ripreso e che vuole essere cullato, per adoperare un termine natalizio, anche solo in questa occasione».
Questo merita di essere conservato, l’uomo non può perdere questa dimensione e dovrebbe farla diventare sempre di più motivo critico di valutazione dell’ordinarietà della vita, non semplicemente oasi bella in un deserto estremamente arido.
Natale è preceduto dall’Avvento, un periodo liturgico che sembra svuotarsi di significato.
«L’Avvento patisce il declino del senso complessivo cristiano del Natale. Se si estenua l’importanza profondamente religiosa del Natale, anche l’Avvento che ne è la preparazione ne è estenuato. Il tempo dell’Avvento è il tempo tipico della Chiesa, perché vive l’attesa del ritorno del Signore, il tempo della vigilante attesa, della preghiera, della conversione, dell’essere pronti con le buone opere, incontro al Signore che viene, è l’atteggiamento più caratteristico della Chiesa nel tempo, però noi lo abbiamo smarrito a livello complessivo e quindi lo abbiamo un po’ estenuato a livello liturgico, perché primo abbiamo fatica alla conversione, secondo perché abbiamo fatica alla gioia che nasce dalla parzialità che suscita la speranza, la parzialità è l’anticipo costruttivo e produttivo e gioioso del compimento che viene, noi cerchiamo il compimento sempre nell’eterno presente, nella costruzione liquida di non luoghi che appaghino, e allora è ovvio che il tempo dell’avvento, che è invece la paziente e premurosa attesa, non ha più significato. Non c’è più motivo di mantenere la tradizione perché non c’è più l’attesa della tradizione, la crisi dell’Avvento è un epifenomeno della crisi più profonda che la banalizzazione del Natale mostra chiaramente».
Parafrasando il suo Messaggio, festeggiamo più il “black Friday” che il Natale? Sono uguali?
«Il problema è che stiamo diventando vittime del meccanismo del marketing, della pubblicità e del commercio. Siccome manteniamo l’elemento emotivo dei regali questo diventa occasione di aumentare il fatturato e questo fino a ieri era già presente, ma oggi i meccanismi che sostengono il mercato sono programmati e pianificati. Ecco a voi il “black Friday”: il meccanismo tende ad autoalimentarsi e quindi è pianificato, sembra un prodotto dell’intelligenza artificiale, come ottimizzare dinamiche di crescita commerciale, di crescita economica, fondamentalmente è questo. Il problema è che il vero obiettivo che alimenta le scelte dell’uomo sembra essere sempre più il denaro e questa è la demonicità della cosa. L’uomo deve prendere le distanze da un meccanismo che diventa il motivo e l’intento fondamentale delle relazioni umane; questo è demoniaco, ingannevole. Anche avendo tanto denaro poi devi andare nelle relazioni per goderlo, credere di poter comprare tutto francamente è piuttosto tragico. Questo fa parte di quel sistema complessivo che noi chiamiamo mercato, che ormai è diventato consapevole delle proprie regole e si serve anche di meccanismi finanziari e pubblicitari; noi lo subiamo, come cultura, civiltà, società, e finiamo di alimentarlo, un tema su cui occorrerebbe riflettere».
Sempre nel Messaggio riflette sull’individualismo come dimensione del nostro tempo.
«Prima di tutto occorre distinguere tra egoismo e individualismo. L’egoismo c’è sempre stato, ma le forme con cui l’egoismo si manifesta tendono a sovrapporsi a quelle dell’individualismo, le cui condizioni non sono quelle semplici del primo, perché l’egoismo si adatta alle situazioni culturali. La ricerca del vantaggio personale del mio ego trova qui un supporto ideologico e strutturale che lo favoriscono in un modo specifico, che è quello individualistico, cosa che non accade in altri contesti culturali, dove gli uomini egoisti esistono lo stesso. Allora l’individualismo diventa anche l’esaltazione delle condizioni della libertà, come se queste dipendessero semplicemente dal desiderio, che è rivendicato come un diritto da tutelare, è questo l’equivoco ingannevole dell’individualismo, credere che il valore sacrale della persona si identifichi con la percezione del desiderio soggettivo. Questo è secondo me il cuore strutturale dell’individualismo, portarlo avanti è ingannevolmente ritenuto portare avanti la libertà e quindi la dignità della persona. C’è un individualismo di tipo strutturale che è esattamente quello per cui l’affermazione generale della libertà, se non si applica all’individuo, resta formale, di facciata, ma d’altro canto la coniugazione pulsionale del desiderio individuale finisce per catturare l’affermazione valoriale, quindi l’individualismo diventa l’esaltazione dell’irrazionale, dell’autocelebrazione, di una chiusura che non tiene conto neanche della bontà delle relazioni che permettono di vivere».
La condizione di conversione che il tempo di Avvento chiede è esattamente la condizione di cura per smascherare il lato oscuro dell’individualismo.
Con chi festeggerebbe il Natale se potesse scegliere?
«Come l’ho vissuto da quando sono Vescovo. Da un lato di avere il piacere di avere qualcuno della mia famiglia con cui ricordare quello che vivevamo in passato, dall’altro viverlo con la comunità cristiana, con la preghiera, la messa di mezzanotte, il pontificale, la messa in carcere; francamente sono contento di viverlo così, non certo andando sulla neve o visitando una città d’arte».
Giuseppe Del Signore