«Ti odio perché tu hai ciò che io non ho e che desidero». Ecco in poche parole il nucleo fondamentale dell’invidia. Proseguendo la nostra riflessione sui vizi capitali – cerchiamo di diagnosticare le malattie dello spirito per diventarne liberi – prendiamo in esame quella che Evagrio Pontico definisce una “malattia degli occhi”. Invidia deriva infatti dal verbo videre con la particella negativa in, che possiamo tradurre con guardare male, con sguardo malvagio.
IL VIZIO PIÙ MESCHINO L’invidia è forse il più meschino dei vizi capitali, certamente quello che rimane più segreto, ma è anche il più doloroso perché costituisce un avvelenamento dell’anima. Francois La Rochefoucauld osservò acutamente che «molti sono disposti a esibire i propri vizi, ma nessuno oserebbe vantarsi della propria invidia». Per sottolinearne la malvagità, Dante nel canto XIII del Purgatorio impone agli invidiosi la singolare punizione di avere gli occhi cuciti con il fil di ferro.
C’È PURE TORMENTO Mentre pecca, l’invidioso subisce il tormento del proprio peccato. Ma come s’insedia l’invidia nel cuore degli uomini? La Sacra Scrittura, subito nelle prime pagine, ce la presenta come il tratto distintivo del diavolo che, confinato a causa della sua ribellione in una lontananza infernale, non tollera il conversare sereno e amabile di Adamo e Eva con il Creatore e per questo cerca di confonderli e di contaminarli col suo stesso veleno e così – commenterà più avanti il Libro della Sapienza (2,24) – «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono».
CAINO E ABELE La vediamo poi subito di nuovo all’opera con tutto il suo potere mortifero nella vicenda di Caino e Abele. Accecato dall’invidia perché l’offerta del fratello era gradita al Signore, Caino inizia a guardare “di mal occhio” Abele fino ad ammazzarlo.
È malvagio l’uomo dall’occhio invidioso – ci rammenta il Libro del Siracide (14,8) – volge lo sguardo altrove e disprezza la vita altrui.
Anche Gesù riprenderà l’immagine dell’occhio cattivo per metterci in guardia dalla velenosità dell’invidia: all’operaio della prima ora che protesta perché anche quello arrivato all’ultima ora ha ricevuto il medesimo salario, il padrone dice: «non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso (letteralmente il tuo occhio è cattivo) perché io sono buono?» (Mt 20,15). Gesù stesso cadrà vittima dell’invidia. Accecati dall’odio i capi consegneranno Gesù a Pilato e, dopo averlo barattato con il malfattore Barabba, ne chiederanno la crocifissione. Eppure Pilato – annotano concordemente sia Marco che Matteo – «sapeva bene che glielo avevano consegnato per invidia». L’invidia non sente ragioni e mette in croce. “Crocifiggilo!”, gridavano tutti a Pilato, e così avvenne. Ma l’amore risorge e vince le forze del male e con esse l’invidia. È solo l’amore di Dio, il suo amore gratuito, caritatevole, sommamente generoso, appassionato, infinito, che ha il potere di rompere la logica delle passioni e la forza dei vizi. Solo l’amore, la Caritas Christi, può fare questo perché come canta San Paolo nel ben noto inno, “la carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio” (1Cor 13, 4).
TERRIBILE DEMONE Se il demone dell’invidia ha un effetto devastante – quanta infelicità produce la tortura dei modelli mediatici che ci fanno invidiare il fisico che non abbiamo, la casa che non possediamo, i soldi che ci mancano, le condizioni che altri invece hanno, l’auto, le vacanze in crociera e tanto altro – la carità invece ci restituisce il nostro vero volto e con esso un nuovo sguardo, lo stesso di Gesù.
don Paolo Ciccotti