Sinodo, docilità allo Spirito

La sinodalità non è una dimensione facile, richiede spiritualità profonda e docilità allo Spirito. Lo ha sottolineato il vescovo Maurizio Gervasoni martedì sera, in Cattedrale, dettando la sua riflessione ai partecipanti alla cerimonia conclusiva della fase diocesana del Sinodo. É stato un discorso breve ma denso di motivi di riflessione. Ed anche con qualche importante precisazione.
A cominciare dal senso e dal significato della parola “sinodo” nella Chiesa.
«Serve qualche elemento di chiarezza – ha detto il Vescovo – perché altrimenti si rischia di porre alcune condizioni di confusione», precisando poi cosa sia, nella tradizione della Chiesa, il sinodo, un termine con il quale si è sempre indicato momenti di ricerca di situazioni di omogeneità che fossero di riferimento per tutti come normativi della fede. Era tipico, quindi, del successore di Pietro e degli Apostoli per individuare dottrine o comportamenti che fossero di riferimento forte e sicuro per la Chiesa. Una precisazione indispensabile, «perchè – ha proseguito – non mi sembra che sia stato questo il cammino di sinodalità di cui stiamo parlando questa sera».
La sinodalità, così come la Chiesa l’ha sempre vissuta fin dalle sue origini, «è una dimensione che la Chiesa deve garantire e conservare sempre – detto mons. Gervasoni – L’alternativa è quello che il movimento protestante ha sottolineato da subito: cioè che la dimensione sinodale argomentativa è già tutta nella Sacra Scrittura, perciò la dimensione di sinodalità è di apertura e di discussione per tutti. Tra l’altro eliminando anche il riferimento al sacerdozio ordinato che per i protestanti non c’è».
Proseguendo, il Vescovo ha evidenziato che la Chiesa, nei tempi recenti, stava perdendo il fatto che «nelle situazioni di discernimento e di testimonianza, dove cioè non c’è la preoccupazione dell’Autorità apostolica, la sinodalità diventa una dimensione necessaria». Ma ha anche precisato che questo non è propriamente il compito della sinodalità della Chiesa, «perché altrimenti sembra che la verità della Chiesa sia da ricondurre a una specie di consenso più o meno democratico di quello che la maggioranza decide. Non lo è per tanti motivi».
Dunque, cos’è davvero la sinodalità che le Chiese locali stanno vivendo in questi mesi? Il vescovo ha richiamato il senso della sinodalità così come l’ha suggerita papa Francesco, cioè una dimensione «di chi cerca la Verità di Gesù e per trovare questa Verità si avvale della collaborazione, del confronto di tutti coloro che testimoniano e vivono la Fede, affinché qualsiasi cosa che noi facciamo sia compiuta testimoniando il Signore Gesù. Cosa ben diversa, dunque, dal tentativo di trovare un consenso o un orientamento operativo che gode del favore della maggioranza». Al contrario, è cosa ben più difficile e impegnativa. «É riconoscere la presenza del Risorto nella nostra vita – ha proseguito il Vescovo – nell’apprezzamento del cammino di conversione di ciascuno».
Una presenza, quella del Risorto, che nella Chiesa si manifesta nell’azione liturgica, «dove noi concordiamo nell’atto di fede nella presenza del Signore di cui facciamo memoria» e nella comunione di carità. «Sono le due dimensioni della Sinodalità, entrambe assolutamente necessarie». La prima, già dotata di una sua struttura, attende di essere partecipata – i risultati dell’indagine sinodale anche evidenziato carenze anche in questo importante ambito. «A noi – ha commentato il Vescovo – manca di partecipare sinodalmente all’azione del Signore, di vivere la liturgia come reale partecipazione credente, di tutti per i bisogni di tutti, con la dimensione di ascolto di tutti: dobbiamo viverla con partecipazione e docilità allo Spirito». Sulla seconda la riflessione è stata ancora più amara. «Sulla testimonianza della carità – ha detto – sono emerse tantissime cose che ci fanno capire che abbiamo ancora tanto da imparare». Parole severe, che hanno indotto il Vescovo a chiedere che il percorso sinodale prosegua nel prossimo anno pastorale, che sarà dedicato proprio alla Liturgia. Lo ha chiesto non nascondendosi e non tacendo che sarà un lavoro faticoso, proprio come quello che si è appena concluso. «Sarà una fatica, ma che ci aiuti a sentirci, ad ascoltarci, ad apprezzare i punti di vista diversi, a correggere i nostri punti di vista quando sono arroganti o quando sono stanchi, addormentati». Ad animare il lavoro dovrà essere il desiderio di partecipazione, che è emerso dal percorso sinodale, ma che si deve sapere sarà faticoso. «Questa voglia di sinodalità – ha concluso il Vescovo – dovrà fare i conti con la perseveranza, con la responsabilità, con il discernimento, con la durezza del cambiamento personale». E tutto questo richiede maggiore responsabilità, cioè maggior impegno, maggior attenzione, maggior ascesi. In una parola, «maggior preghiera».

Carlo Ramella

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