L’Inchiesta / Fanghi: la mappa Lomellina e gli studi sui terreni

La mappa Lomellina dei fanghi in agricoltura vede un impiego diffuso, ma non onnipresente. L’ultimo dato disponibile è provinciale, è del 2020 e segnala l’uso sul 6.85% del terreno disponibile (nel 2005 il valore massimo, pari al 10.86%). E’ una questione che non interessa solo gli agricoltori, ma tocca ogni cittadino; tra chi consuma i prodotti coltivati con questi prodotti e chi si ritrova a dover vivere accanto ai campi dove sono sparsi – e a sopportarne l’odore – il tema è sentito. Qual è la situazione sul territorio?

COMPETENZE Fermo restando che in Lomellina non ci sono municipi per cui Regione Lombardia ha decretato il divieto di spandimento – nel 2024 in provincia di Pavia l’unico è Costa de’ Nobili – e che i Comuni hanno pochi strumenti amministrativi e legislativi per intervenire a monte, visto che la competenza è regionale e che la Regione fissa la distanza minima dagli abitati (attualmente 100 metri) e ha affidato alle Province la competenza al rilascio dell’autorizzazione al trattamento e successivo spandimento (Lr 26/2003 e Dgr 15944/03), si tratta pur sempre dell’istituzione più vicina alle esigenze dei cittadini, la prima a cui questi si rivolgono a fronte di disagi (soprattutto per l’impatto olfattivo) e timori, e quella che più facilmente può effettuare controlli tramite la Polizia locale. Le linee guida regionali prevedono o l’immediata aratura con rivoltamento del terreno dopo lo spandimento oppure l’immissione di fango liquido in pressione a una profondità di 20 metri. Come riporta lo studio commissionato dalla Provincia “Valutazione risultati analitici relativi a fanghi e terreni” (2022), questa pratica consente di contenere «la percezione olfattiva in tempi molto limitati e a piccole distanze dal punto di utilizzo». Questo per i fanghi, perché per i “gessi di defecazione” e per i liquami zootecnici

non vige, con uguale forza e possibilità di verifica, la clausola del loro immediato interramento.

TIMORI Lo studio è stato voluto anche per affrontare i timori relativi all’inquinamento dei terreni e delle falde, ha visto la partecipazione di 9 delle aziende che operano nel territorio provinciale e ha incrociato le analisi di due diversi laboratori chimici, di cui uno dell’università di Torino. Nelle conclusioni si sottolinea che «i terreni sono in buona salute, infatti i valori di tutti i parametri determinati sui terreni (47) li fanno risultare idonei a ricevere i fanghi nelle modalità stabilite dal legislatore». Per i metalli pesanti, su cui si concentra la normativa comunitaria e nazionale, tutti e sette rientrano ampiamente nei parametri previsti e solo rame e zinco superano la soglia indicata per i “fanghi di alta qualità”, restando in quelli per i “fanghi idonei” all’uso agricolo. Risultati omogenei rispetto a quelli di una rilevazione regionale precedente (“Campagna di controllo straordinario” 2008-2012), dove si segnalavano concentrazioni in eccesso in ingresso (prima del trattamento) di nichel, zinco, rame. Non è semplice muoversi tra gli studi di settore, in generale in molti si ritrovano aumento dei nutrienti nel suolo, incremento della produttività, accumulo di zinco e rame (da monitorare), accumulo di fosforo (positivo per le colture, meno per la qualità delle acque superficiali e profonde), nessun metallo pesante in concentrazioni vicine ai limiti di legge. Una situazione che parrebbe sotto controllo, ma il nodo sono proprio i controlli: Ispra segnala da anni le carenze e le inadempienze in questo ambito, che riguardano anche i criteri con cui andrebbero condotti, col risultato da un lato di favorire condotte poco professionali o criminali e dall’altro di demonizzare l’uso dei fanghi, accrescendo i timori nella popolazione.

fanghi

IN LOMELLINA Tornando sul territorio, in assenza di dati più recenti, nel 2011 la Regione segnalava l’impiego tra le 10mila e le 30mila tonnellate annue nei comuni di Gambolò, Mortara, Tromello, Cergnago, San Giorgio, Mede, Garlasco, Gropello Cairoli, tra le 4501 e le 10mila a Vigevano, Zerbolò, Palestro, Confienza, in misura minore in altre città e non usati del tutto nella cintura occidentale-meridionale, i paesi che costeggiano il Sesia e il Po, e a Cassolnovo. A fronte di questa esposizione, negli anni sono state numerose le proteste dei cittadini contro i miasmi e per un maggiore controllo delle operazioni di spandimento, tanto da spingere diverse amministrazioni a tentare di porre delle misure più stringenti, a partire da una maggiore distanza dal centro abitato, provocando il ricorso al Tar di aziende agricole o di spandimento. Unico caso di successo quello di Gambolò, che ha imposto una distanza maggiore rispetto a quella regionale (riuscendo anche a far riconoscere la bontà dell’operato dal Tar).

Attualmente – spiega infatti il sindaco di Gambolò Antonio Costantino – la normativa impone l’impossibilità di spandere questo tipo di materiali nei campi situati a meno di 500 metri dal centro abitato.

Tutti gli altri centri, anche quelli che hanno seguito la stessa strada, non sono riusciti ad avere ragione di fronte ai ricorsi.

GLI ALTRI Un caso simbolo della lotta ai fanghi è stato Cassolnovo che, con la giunta Volpati (2014-19), aveva normato una distanza di addirittura 1000 metri dal centro abitato. Anche Cassolnovo però si era dovuto “scontrare” col Tar, finendo per perdere il ricorso. L’attuale sindaco Luigi Parolo spiega che «noi non abbiamo imposto alcuna distanza perché la storia ci insegna che tutti questi divieti comunali vengono poi cassati. Credo che si dovrebbe intervenire a livello nazionale o regionale». Che la questione vada normata a livelli più alti è un pensiero che accomuna anche Ettore Gerosa (sindaco di Mortara) e Federica Pasini (Tromello). Quest’ultima aggiunge che «nella scorsa legislatura avevamo realizzato un regolamento più restrittivo per quanto riguarda le distanze ma abbiamo dovuto fare un passo indietro proprio per il rischio del ricordo al Tar». Stessa linea a Vigevano, Andrea Ceffa afferma che «non abbiamo delibere che limitano la distanza dello spandimento perché i continui ricorsi al Tar, che hanno cassato quelle degli altri comuni, rendono oggettivamente improbabile che ne possa passare una nostra. Ciò che noi facciamo è controllare gli automezzi che questi prodotti li trasportano». Inoltre si potrebbero «mettere delle limitazioni direttamente attraverso il Pgt. É una cosa che stiamo studiando». Caso particolare quello di Lomello. «Sul nostro territorio – spiega la sindaca Silvia Ruggia – non ci sono agricoltori che fanno uso di questi prodotti. Non è stato quindi necessario intervenire in questo senso, bensì abbiamo dovuto intervenire su una ditta locale che li produce, chiedendo tutte le prescrizioni immaginabili. Esprimiamo assoluta contrarietà all’utilizzo di questi prodotti e facciamo di tutto per ridurre al minimo l’impatto che si registra dalla produzione».

Parona, fanghi al termo il cantiere in settembre

Dopo l’estate aprirà il cantiere per la realizzazione di un impianto di smaltimento fanghi al termovalorizzatore di Parona. A dare l’annuncio è direttamente A2A, la municipalizzata milanese che ha tutte le quote dell’impianto, che spiega come entro il 2025 si arriverà a bruciare i fanghi trattati nel termovalorizzatore stesso. Annunciato nel gennaio 2020, l’impianto per i fanghi non era mai partito. Intanto è stato aperto il terzo forno (in sostituzione del primo), ma questo progetto, descritto come innovativo e sostenibile, non è decollato. Al punto che qualcuno aveva ipotizzato che non si sarebbe mai realizzato, pur essendo stato ottenuto a suo tempo il permesso.

UN’ALTERNATIVA Nello spiegare le motivazioni che hanno portato alla creazione di un impianto di depurazione dei fanghi, la stessa A2A chiarisce che tra gli intenti c’è tutelare anche l’agricoltura. «I fanghi prodotti nella depurazione – spiegano ad A2A – sono rifiuti contenenti componenti solidi, organici e prodotti chimici che necessitano quindi di un trattamento sicuro ed efficiente, capace di preservare la salute umana e l’ambiente. I fanghi però contengono anche sostanze organiche e minerali, come azoto, fosforo e potassio, preziose per l’agricoltura e per questa ragione spesso sono usati in sostituzione di costosi concimi chimici o di altri tipi di concimazione organica. Questa convivenza nella composizione dei fanghi fra inquinanti e sostanze utilizzabili in agricoltura ha portato molti Paesi europei ad adottare prassi prudenti, limitando e in alcuni casi proibendo l’utilizzo dei fanghi in agricoltura, privilegiando forme di recupero energetico». Soprattutto i recenti casi di cronaca hanno convinto A2A dell’idea di procedere con l’essiccazione dei fanghi (e il successivo smaltimento nel termovalorizzatore), sebbene a Parona non sia mancata l’opposizione di diverse associazioni ambientaliste per la vicinanza dell’impianto al Parco del Ticino, che comprende due Siti di importanza comunitaria (Basso corso e sponde del Ticino e Garzaia della cascina Portalupa) e una Zona di protezione speciale (Boschi del Ticino).

LO STUDIO Secondo A2A il tipo di intervento di essiccazione e successiva termovalorizzazione è meno inquinante. «A tal riguardo – continuano i dirigenti di A2A – lo studio “Valutazioni relative all’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione” dell’Università di Padova, che ha analizzato oltre 250 articoli scientifici e tre banche dati allo scopo di esaminare gli effetti a lungo termine dell’utilizzo dei fanghi in agricoltura, ha evidenziato la presenza nei fanghi di una vasta gamma di sostanze chimiche (tra i quali metalli pesanti, composti farmaceutici, microplastiche, nanoparticelle, contaminanti organici persistenti tossici e bioaccumulabili, patogeni)».

Lo studio ha anche investigato in particolare il potenziale accumulo dei composti chimici nei suoli, nell’ecosistema, negli organismi vegetali e il loro possibile trasferimento nella catena alimentare umana.

IL PROGETTO Il progetto di A2A prevede la realizzazione del nuovo impianto di essiccamento e pellettizzazione dei fanghi biologici da depurazione delle acque reflue urbane (sono molto simili al pellet tradizionale) nel sito di Parona, al fine di renderli compatibili con la termovalorizzazione, che potrà avvenire in sito oppure presso altri impianti interessati, ad esempio nei cementifici. Il fango essiccato infatti, essendo di natura biogenica (cioè prodotto da fonti non fossili), non impatta sulle emissioni di CO2 e può essere utilizzato anche in virtù del suo contributo alla decarbonizzazione. La collocazione dell’impianto presso il polo di Parona, dal punto di vista di A2A, è “virtuosa” anche perché il calore impiegato per essiccare i fanghi è prevalentemente calore di “scarto”, generato dal processo di recupero energetico del termoutilizzatore che diversamente andrebbe dissipato nell’ambiente.

Ab, Ec, Gds.

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