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L’inclusione e il futuro di tanti ragazzi appesi al filo dello ius scholae, che rappresenta la possibilità di diventare cittadini italiani per almeno 300mila studenti che frequentano regolarmente le scuole su suolo nazionale, ma senza avere la cittadinanza. La Chiesa italiana sin dal Convegno Ecclesiale di Verona nel 2006 ha posto il tema di una revisione delle norme vigenti in direzione di una maggiore apertura.
DIRITTO «La questione mette in gioco un diritto fondamentale della persona – spiega ad Avvenire il presidente della Cei Matteo Maria Zuppi – e quando un problema umanitario, e per certi versi tecnico, diventa un problema di scontro politico non si capisce più chi ragione e chi no». Dibattiti che tolgono l’attenzione dal vero scopo dello Ius Scholae, in quanto risorsa per i tanti giovani, ma anche per il paese. «Il cosiddetto Ius Scholae costituisce uno strumento importante di inclusione delle persone ed è un “tema di cultura” […] – continua Zuppi – Per questo deve suscitare delle idee e non delle ideologie, per trovare le risposte adeguate». Nella stessa direzione il vice presidente, mons. Francesco Savino, che ha parlato di «un atto di giustizia, di civiltà e quindi di democrazia», e il presidente della Fondazione Migrantes, mons. Gian Carlo Perego, secondo cui
lo ius culturae e lo ius scholae favoriscono la partecipazione alla vita delle città, è un’idea che guarda avanti, per fare in modo che si crei un popolo di nuovi italiani.
INCLUSIONE Non solo un diritto ad avere la cittadinanza italiana, ma anche uno strumento che favorisce inclusione e integrazione. «Al giorno d’oggi stiamo parlando di numeri non indifferenti – spiega don Moreno Locatelli, presidente di Caritas Vigevano – ci sono infatti classi con il 60-70% di studenti stranieri e scuole che chiudono per festività culturali che non sono parte della nostra tradizione, ma questo non vuol dire che vada bene o debbano essere tagliate. Il fatto che si possa concedere la cittadinanza a coloro che seguono un corso di studi diventa uno strumento importante di inclusione della persona. È una questione che mette in gioco un diritto fondamentale dell’individuo, dando anche valore culturale a questi ragazzi e al paese».
VITA Non solo nozioni per diventare cittadini, ma qualcosa di più profondo. «Per i latini la schola era il contenuto, il metodo, la vita unita alla cultura e la cultura che diventa vita stessa. – spiega don Andrea Padovan, dell’ufficio per la pastorale sociale – Per questo credo che lo Ius Scholae non debba essere solo una questione di contenuti e nozioni, ma introdurre alla vita».
Rossana Zorzato