Viaggio in Parrocchia / Gambolò: quella solidarietà riscoperta attraverso il Covid

A Gambolò il centro d’ascolto Caritas “Braccia aperte” è nato dopo il Covid, in ritardo di un paio d’anni per via della pandemia che ha visto i volontari della parrocchia, in prevalenza giovani dell’oratorio, impegnati a consegnare spesa e medicine agli anziani che non potevano uscire di casa.

IL COVID Questo grazie a un accordo tra il sindaco Antonio Costantino e il parroco don Roberto Redaelli, giunto in paese il 17 settembre 2019 e coadiuvato da don Andrea Padovan e don Mino Canevari. Il parroco del Covid, verrebbe da dire, eppure proprio la pandemia ha sviluppato quello spirito di solidarietà e di fraternità che si ritrova nel centro d’ascolto di via Cardinal Bianchi al civico 1. «All’inizio era a Remondò – spiega don Redaelli – ma poi il Juventus Club ha donato alla Caritas i locali della sua sede, che è più centrale, vicino alla chiesa, e ci siamo trasferiti lì. Il centro d’ascolto è un primo passo per capire di cosa hanno bisogno le famiglie, circa una sessantina, che chiedono aiuto: cibo, vestiti, bollette da pagare, contributi per gli abbonamenti ai pullman degli studenti, ricerca di posti di lavoro».

Per la distribuzione delle borse alimentari abbiamo la collaborazione di Croce rossa e Auser. Per adesso è un centro d’ascolto parrocchiale, ma dovrebbe diventare vicariale in collaborazione con Gropello, Tromello e Garlasco.

LE CONFRATERNITE Un impegno, quello per la carità in tutte le sue forme, che a Gambolò ha le sue radici in tre storiche confraternite: San Biagio (che si festeggia il 2 febbraio), San Paolo (29 giugno), San Rocco (16 agosto). I confratelli organizzano la recita del rosario in caso di lutto, e portano in spalla il feretro durante i funerali. Ogni confraternita ha la sua chiesa, con tanto di priore. Tra le novità della vita comunitaria, in settembre, la trasformazione della chiesetta sul Terdoppio in un cimitero per le ceneri, che saranno raccolte in urne realizzate da artisti moderni.

don Roberto Redaelli

SPIRITUALITA’ Ma Gambolò è anche allegria, animazione per i giovani, voglia di divertirsi.  «Lo testimonia il Grest – racconta don Redaelli – che quest’anno ha avuto 200 iscritti, 50 animatori e 10 formatori. È una comunità buona, legata alle tradizioni, dovrebbe solo aprirsi un po’ più verso l’attenzione per gli altri. In questo senso la Caritas, le confraternite e l’impegno durante il Covid hanno fatto molto, ma quello che manca è l’apporto spirituale e caritativo: dovremmo riscoprire di più la vita sacramentale, la confessione, la Messa, soprattutto per quella fascia d’età che va dai 15 ai 35 anni. I giovani rivelano una carenza di interessi culturali, sociali, religiosi e di relazione».

C’è bisogno di una maggior vita spirituale, da cui deve nascere l’impegno nella carità, nell’oratorio e nella catechesi: un rinnovato entusiasmo insomma, che diventa testimonianza in vari ambiti.

«Facciamo soltanto da tramite»

I volontari del centro d’ascolto “Braccia aperte” sono cinque: Pierangelo, Giuseppe, Carlo, Donatella, Paola. «Agiamo in coppia – racconta Pierangelo – ascoltando le persone che si rivolgono a noi, e rapportandoci alla Caritas diocesana di Vigevano di cui ogni mese incontriamo la referente, Michela. Lavoriamo a stretto contatto con i servizi sociali, e con una signora impegnata nei Caf, i centri di assistenza fiscale, per documentazioni Inps e altre pratiche burocratiche. Quello che cerchiamo di sviluppare, però, è una progettualità che non si fermi alla borsa alimentare o al pagamento della bolletta, ma responsabilizzi la persona bisognosa, portandola a frequentare corsi di formazione al lavoro, come quelli per Oss e infermieri.

Abbiamo organizzato anche un corso di lingua italiana tenuto dalla professoressa Bellinzoni della San Vincenzo per stranieri in appoggio ai corsi che frequentavano a Vigevano in via Diaz». Cosa portano a casa i volontari? «Si parte con buoni propositi ma alla fine ci si sente impotenti, anche se chiaramente si esce più arricchiti dal contatto con le persone e le loro esperienze. Ricordo una signora che aveva il marito in carcere. L’avevamo aiutata per sei mesi, e quando lui è uscito sono venuti a trovarci e a ringraziarci. Quest’uomo ha ammesso di aver sbagliato, ha promesso che non l’avrebbe fatto più e ci ha detto di volersi trovare un lavoro. É stata una bella soddisfazione, ma abbiamo fatto solo da tramite».

Davide Zardo

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