La violenza nei pronto soccorso

I pronto soccorso sono una terra di nessuno da cui scappare. Sempre più operatori sanitari vogliono andarsene dai reparti di emergenza urgenza, che sono sempre meno appetibili, tanto che le borse di studio per la medicina d’urgenza restano libere. Un bilancio che investe il personale sanitario italiano da nord a sud, tra turni pesanti (aggravati dal personale ridotto) ed episodi di violenza.

PAURA «Una delle ragioni per cui mi sento di dire che ci sono più aggressioni è la paura – commenta Patrizia Sturini, funzionaria Cgil Pavia –  Dopo la pandemia molte persone si recano in ps anche per sintomi banali, il che non fa che aggravare il lavoro in questo contesto». Sono i codici bianchi o verdi, accessi impropri che potrebbero essere evitati rivolgendosi al medico di medicina generale o alla guardia medica e che allungano i tempi di attesa, esasperando la pazienza di alcuni soggetti. «Tutti sono convinti che debbano essere visitati nel minor tempo possibile – continua Sturini – ma all’interno del ps ci sono urgenze non differibili e diagnosi con priorità». A oggi si stima che a ogni turno di lavoro si verificano due o tre episodi di violenza sanitari, l’anno scorso in provincia se ne sono contati 284.

MMG A livello locale la situazione non è diversa, anche per i medici di famiglia. «Un altro problema riguarda anche i medici di base – continua la funzionaria di Cgil Pavia – in alcuni comuni mancano queste figure, spingendo per forza di cose sempre più pazienti a rivolgersi direttamente negli enti di primo soccorso anche quando non necessario». Ma chi un dottore lo ha, non sempre ci va o si fida del suo parere. «A causa di questa paura post pandemia – spiega Sturini – anche chi inizialmente sente il parere del proprio medico, in un secondo tempo si reca in ospedale con la convinzione che può sottoporsi a esami più approfonditi, spesso non consigliati dal proprio medico». Non sapendo, ad esempio, che in regime di ps non si eseguono risonanze o altri esami di diagnostica per immagini diversi da una radiografia e un’ecografia se non in casi gravi (codice giallo o rosso) o dove l’ipotesi diagnostica voglia escludere emorragie o ischemie. A giocare a sfavore del personale ospedaliero, anche i tempi di attesa:

Se ci si reca in ps – racconta la sindacalista – esami che normalmente verrebbero eseguiti nel giro di un mese o due di attesa, all’interno dell’ospedale vengono fatti direttamente.

ORGANIZZAZIONE Per questa ragione è necessario cambiare gestione e organizzazione all’interno dei nosocomi, partendo dai territori. «Per limitare le aggressioni al personale – continua la funzionaria di Cgil Pavia – è bene organizzare diversamente gli accessi in emergenza urgenza, limitando in prima battuta quelli impropri». In questo giocano un ruolo fondamentale le Case di Comunità, così come tutti gli ambulatori preposti di primo livello, dotati di ambulatori infermieristici che possono dare un primo consulto medico, prima di un eventuale accesso in ospedale. Ma qualora questo non bastasse, «sarebbe buona cosa organizzare linee dirette rivolte a parenti dei pazienti – dichiara Sturini – In questo modo sarebbe possibile tenere aggiornati i familiari in tempo reale sulle loro condizioni, senza tenerli in pronto soccorso ad aspettare».

EDUCAZIONE Puntare quindi su educazione e promozione delle Case di Comunità sembra essere un primo passo da intraprendere. «Bisogna formare i cittadini a una maggiore educazione sanitaria – conclude la sindacalista – in questo modo si possono evitare migliaia di accessi non necessari e destinare il lavoro dei sanitari a emergenze con priorità massima e senza assistere a ulteriori atti di violenza».

Rossana Zorzato

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