Rigenerazione urbana / Rebaglio (Polimi): «Urbanistica tattica e visione »

La rigenerazione urbana è la trasformazione degli spazi pubblici per rispondere alle esigenze di vivibilità in una città del ventunesimo secolo, alle prese con transizione ecologica, transizione digitale e inclusione sociale. Un ambito complesso al punto da aver favorito la nascita di nuove figure professionali, come quella di designer degli spazi pubblici che è formata dal Master “Design for public space” del Politecnico di Milano di cui la professoressa Agnese Rebaglio è direttore scientifico. Professoressa Rebaglio, qual è la definizione di spazio pubblico e che caratteristiche deve avere?

«Non c’è una definizione univoca, intendiamo quello spazio aperto, dentro la città, che ospita una serie di funzioni pubbliche. Possono essere anche spazi privati destinati a uso pubblico, un caso frequente».

Gli spazi pubblici ospitano funzioni di servizio per la vita quotidiana, così come di tipo rappresentativo, simbolico, valoriale, relazionale

«Pensiamo a tutto il sistema del movimento, dello spostamento (su strada, su marciapiede), ma anche al sistema delle piazze, col loro valore storico e identificativo per le comunità che abitano le città. Pensiamo inoltre a tutti quegli spazi negletti e poco valorizzati, come quelli di risulta, gli anfratti, gli slarghi, le aperture tra un edificio e l’altro: spazi poco progettati, del negativo rispetto al costruito inteso come positivo»

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Pordenone, il rendering col nuovo assetto di via Mazzini

A cui si guarda con rinnovato interesse?

«Tutti questi sono diventati strategici sempre di più, anche dopo la pandemia, quando tutta una serie di attività del quotidiano sono state trasferite nello spazio aperto, pure per una nuova prossimità originatasi come reazione alla distanza sociale a cui siamo stati costretti, ma anche in relazione al cambiamento climatico, che ha portato una nuova dimensione di fruibilità dello spazio aperto, purtroppo, dunque elementi di negatività che sono diventati un’opportunità. Possiamo fare riferimento all’esplosione di piani terra di strutture commerciali e di dehors, anche sottraendo spazio alle auto parcheggiate; è stata un’attenzione di sottrazione di spazio destinato alla mobilità veicolare per restituirlo all’uso lento dei cittadini, con una serie di interventi di valorizzazione degli spazi pubblici, come quelli davanti alle scuole, per garantire una fruizione sempre più sicura e importante dei cittadini, dove non solo muoversi, ma anche sostare. Non è solo spazio di servizio, ma il recupero di una tradizione molto mediterranea di spazio di relazione, dove sentirsi rappresentati e incontrare l’altro nelle nostre società multiculturali»

Si tratta di una dimensione che attraversa la storia mediterranea, si pensi all’agorà e ai fori del mondo classico, così come a piazze, mercati, fiere medievali.

Assolutamente sì, è il recupero della vita all’aria aperta, in città, nella strada, destinata a commercio, attività pubblica, alle relazioni

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la professoressa Rebaglio

«E’ una concezione molto mediterranea e alcuni paesi del nord Europa hanno cercato di emularla, ad esempio Copenaghen con una pedonalizzazione delle aree urbane. Ora anche noi torniamo a valorizzare gli spazi pedonali e gli spazi verdi. Il verde urbano è strategico: abbiamo riscoperto una serie di attività che possiamo fare nello spazio verde. Sport, attività motoria, benessere fisico sono sempre più importanti nella nostra società, ma c’è anche un verde inteso come strumento di contrasto del cambiamento di climatico, nel solco delle “Nature based solutions” (azioni ispirate e tratte dalla natura, ndr)»

Quali sono gli spazi pubblici che oggi non possono mancare in una città di medie dimensioni?

«L’attenzione della letteratura in materia è soprattutto sulle metropoli e questo rende più complesso concentrarsi sulle realtà piccole o medio-piccole».

Il tema del traffico veicolare nelle città di medie dimensioni è strategico, così come la possibilità di creare connessioni, ad esempio ciclopedonali, sul territorio

«Un esempio sono le piste ciclabili che, se non si connettono con i comuni circostanti, diventano un po’ fini a se stesse; è importante lavorare in rete»

03 PP Rigenerazione urbana.- urbanistica tattica Campobasso
urbanistica tattica a Campobasso

Ci sono delle strategie “pronte all’uso” che si potrebbero trasferire dalle metropoli a centri urbani minori?

«Alcune sperimentazioni delle città più grandi potrebbero essere replicate su una scala minore, tutto il tema dell’urbanistica tattica potrebbe essere sperimentato nelle città più piccole. Si tratta di processi di coinvolgimento che»

prevedono una trasformazione temporanea degli spazi, per sperimentare nuovi assetti e nuove funzioni, dunque all’inizio con un investimento contenuto e dando la possibilità di confrontarsi su situazioni che nel tempo diventano permanenti, apportando i correttivi

«del caso sulla base dell’esito dei test e della risposta della comunità. In questo modo si favorisce la partecipazione locale»

Un aspetto fondamentale quando si fa riferimento a trasformazioni che cambiano le abitudini delle persone.

«Alcune scelte all’inizio possono risultare impopolari, ho in mente anche alcuni progetti di urbanistica tattica a Milano seguiti dal Politecnico e che hanno raccolto molta insoddisfazione da parte di cittadini abituati a parcheggiare sotto casa o arrivare ovunque con l’auto. Nondimeno bisogna avere la forza di cambiare e vedere nel lungo periodo, perché tutto il processo di decarbonizzazione e crisi energetica dice che non possiamo andare in nessun’altra direzione»

02 PP Rigenerazione Urbana - Coriandoline
Coriandoline, il quartiere a misura di bambino di Correggio

In che modo può farlo una città, con i limiti imposti dalle norme sui bilanci e dalle ridotte risorse disponibili?

«Quello della sostenibilità economica resta un tema. Per le grandi città è facile immaginare processi di coinvolgimento di imprenditori privati, con dimensioni più piccole si possono intercettare dei bandi strategici, ma non è facilissimo e dunque occorre ammettere una criticità difficilmente superabile».

In questi casi conta la programmazione dell’amministrazione, la visione, e conta la percezione dei cittadini, che possono essere accompagnati al cambiamento, che comporta il prendere decisioni un po’ drastiche

«I processi partecipati e l’urbanistica tattica possono fungere da accompagnamento, così come lavorare sul piano culturale e del cambiamento di comportamenti personali e collettivi. Anche con investimenti più limitati si può partire da come proporre comportamenti sostenibili oggi. Un altro approccio può consistere nell’agire sull’uso di certi spazi o sulla gestione della mobilità: ad esempio la costruzione delle ciclabili si può programmare nel tempo e in questo modo è sostenibile, ma in primo luogo occorre una visione di medio-lungo periodo»

Di quali passaggi si compone il processo che porta all’ideazione, progettazione e realizzazione di una rigenerazione urbana?

«Dipende dalla scala a cui ci riferiamo: si parte dall’ascolto dei bisogni del territorio, del luogo, che per la sua conformazione naturale e storica ha qualcosa da dire, e da una visione di trasformazione di questo luogo. Si può procedere per gradi, con degli inneschi che spingano la trasformazione e il cambiamento, sia nei comportamenti sia fisici perché il cambiamento va visualizzato. Da questo punto di vista è positivo un coinvolgimento del mondo dell’arte, che aiuta a parlare a livello simbolico, ritengo la collaborazione tra artisti e progettisti un passaggio significativo»

PP Vigevano - piazza Sant'Ambrogio 01
via Roma e piazza Sant’Ambrogio a Vigevano

E’ su queste sinergie che interviene il designer degli spazi pubblici?

«Il designer di spazi pubblici è una figura professionale in formazione, anche il mercato del lavoro nell’ambito del progetto ha tante figure professionali, alcune che rispondono a bisogni che prima erano risolti in modo diverso. Il design nell’ambito della città affronta la piccola scala, come se fosse uno spazio interno da arredare, da definire nel suo valore simbolico, narrativo, che si può attrezzare temporaneamente, come un allestimento per un evento. In questo senso ci interessa la “scala umana”. Oltre a questo il designer gestisce processi di ascolto e di partecipazione di una coralità che rientra in una tradizione dell’architettura e dell’urbanistica. I processi di co-design oggi sono imprescindibili»

Quali sono i servizi, le infrastrutture, i luoghi a partire dalla presenza e dal grado di sviluppo dei quali si può valutare la vivibilità di una città?

«E’ interessante sapere che anche nei sistemi di misurazione dell’Istat del benessere ecosostenibile (Bes)»,

il tema dello spazio pubblico, del verde, dell’accessibilità, della sicurezza sono importanti e sono entrati a definire indicatori che prima non c’erano, con l’idea di misurare la qualità oltre al dato quantitativo

«Penserei anche io a questi, al tema della accessibilità, dell’inclusione negli spazi pubblici dove tutti devono sentirsi accolti – bambini, donne sole, molteplici culture – e rappresentati, del verde e della sua presenza e fruibilità, alla possibilità di spostarsi con mezzi lenti e sostenibili in modo sicuro (in bici, a piedi). Poi certo ci sono tutti i servizi “classici”: scuola, salute. C’è un tema oggi che è interessante: parlavo di accessibilità fisica e culturale, ma c’è anche un tema di prossimità, che forse nelle piccole città questo è presente, la famosa città dei 15 minuti»

Una città in cui tutto si può raggiungere in quarto d’ora.

«L’idea di alcuni servizi delocalizzati e diffusi affinché tutto sia raggiungibile in 15 minuti a piedi, una forzatura per dire che dovremmo immaginare una città policentrica, con una serie di iniziative che non vuol dire spostare ad esempio i teatri in tutta la città, ma che il teatro e gli enti culturali di prestigio possono promuovere iniziative sul territorio animando lo spazio pubblico. Si tratta anche di ricucire comunità che non sono state curate nel tempo: magari quartieri in cui si è tanto costruito, c’è stato sviluppo urbanistico, ma c’è stata poca attenzione a costruire le comunità che abitano questi luoghi. Infine nelle città di piccole e medie dimensioni c’è un tessuto di associazionismo attivo che andrebbe valorizzato».

Giuseppe Del Signore

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