6 aprile, Quinta Domenica di Quaresima

Il Vangelo della quinta domenica di Quaresima ci presenta uno degli episodi di perdono più noti dei Vangeli, ma questa pagina evangelica è molto più “complicata” – e, usando questo termine, mi riferisco proprio alla sua etimologia: “piena di pieghe”. È proprio dentro queste pieghe che siamo chiamati a leggere per comprendere appieno il mistero.

Quando Gesù giunge nel tempio, i farisei gli presentano una donna colta in peccato. Potremmo persino sospettare che la sua cattura non sia stata casuale, ma il frutto di un pedinamento, di un agguato teso per coglierla in flagrante. Capita spesso anche a noi, più o meno inconsapevolmente, di ritrovarci nella stessa posizione. Nel desiderio di combattere il peccato, finiamo talvolta per calpestare il peccatore e la sua dignità. Invochiamo la giustizia, ma rischiamo di trasformarci in giustizieri anziché in giusti. Davanti all’accusa e al richiamo alla legge mosaica per giustificare un atto crudele come la lapidazione, Gesù risponde con un gesto che lascia sbigottiti sia i farisei sia noi, lettori di oggi. I Padri della Chiesa e molti commentatori hanno avanzato ipotesi su cosa Cristo stesse scrivendo sulla sabbia. Tra queste, una particolarmente suggestiva suggerisce che Gesù abbia iniziato a trascrivere i peccati degli accusatori. E sembra quasi che sia così, perché, nonostante le sue parole, essi insistono per ottenere una risposta, come se non avessero notato ciò che stava scrivendo. Dopo la celebre frase –

Chi è senza peccato, scagli per primo la pietra

– sembra quasi che gli sguardi degli accusatori si posino su quelle parole tracciate nella sabbia, quasi un monito per ciascuno di loro, e per noi: nessuno è senza peccato. Gesù, chino sul peccato di quegli uomini e di quella donna, alza lo sguardo verso i farisei, quasi a richiamare la loro attenzione su ciò che aveva scritto. Dopo questo gesto enigmatico, gli accusatori depongono le pietre e se ne vanno, «a cominciare dai più anziani», come annota Giovanni, quasi a testimoniare un improvviso esame di coscienza. A una lettura superficiale, potrebbe sembrare una semplice difesa del debole, del peccatore indifeso. Ma se fosse solo questo, l’azione di Cristo non si distinguerebbe da quella di tante persone di buona volontà che si schierano a protezione dei fragili ma il mistero dell’amore di Dio va oltre. Gesù si alza, guarda la donna e va verso di lei, calpestando quell’elenco di peccati che la separavano da Lui. Il grande mistero della redenzione, che ci apprestiamo a celebrare nella Pasqua ormai vicina, è proprio questo: Dio calpesta, supera, cancella ogni nostro peccato pur di averci con Sé. È il mistero sconfinato della nostra fede: un amore che supera ogni attesa, ogni colpa, e ci raggiunge nonostante quell’abisso che ci allontana da Lui e che noi chiamiamo peccato. «Dov’è chi ti accusa? Chi ti condanna?» – sono le parole che Cristo sussurra ogni giorno al nostro cuore, ricordandoci che Egli non teme il peccato, non ha paura di perdonare un cuore pentito. Anche quando i nostri peggiori peccati ci sembreranno un abisso invalicabile, dobbiamo sempre ricordare che se il peccato può allontanare noi da Dio, non potrà mai allontanare Dio da noi. Il mistero della Pasqua, della Redenzione, dell’Amore folle di Dio per noi peccatori, si riassume in quelle parole di speranza: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

padre Adriano Cavallo O.P.

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